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Centenario di Elena Bono

Una straordinaria attualità

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In memoria della poetessa ligure di cui è ricorso il centenario della nascita il 29 ottobre scorso, ripubblico qui una sua poesia che figurava nel Dossier a lei dedicato, allegato al numero 1 della mia rivista Poesia e Conoscenza, intitolata Tempo di Dio, perchè mi ha colpito, a distanza di tanti anni da quando era stata scritta, la sua straordinaria attualità, che appare oggi addirittura profetica, come è spesso della grande poesia.

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ELENA BONO

TEMPO DI DIO

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Finite di piangere su di voi e sopra i morti
finite di ballare sulle tombe
non vi accorgete
che a noi è richiesto più
che ai figli di ogni altro tempo?
Ora bisogna ricreare il mondo
in ciascuno di noi
o finiremo.
Ricordarci la nostra somiglianza con Dio
e indurre Dio a ricordarla.
Ora bisogna avere tanta forza
da imporre al cuore la speranza,
amore più che umano agli umani,
volontà di vita per tutti.
Non è tempo di lutti
né di follie.
Questo è tempo di Dio.
Che aspettiamo?
Quale segno? Quale miracolo?
Eppure abbiamo visto crocifisso
in migliaia di corpi
Gesù Cristo.


da Poesie Opera Omnia ed. Le Mani 2007
per gentile concessione dell’editore

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Ripropongo qui la copertina del Dossier che nel marzo del 2015 avevo dedicato alla figura di Elena Bono scomparsa nel febbraio del 2014 all’età di 92 anni. La poetessa ligure, anche nota autrice di teatro, era diventata un caso letterario per il suo quasi totale isolamento dopo che i suoi libri di poesia erano stati rifiutati dai maggiori editori benchè avesse esordito da Garzanti e fosse da alcuni considerata una delle voci poetiche più importanti della seconda metà del Novecento. A questo isolamento l’Autrice attribuiva motivazioni ideologiche dovute in particolare alla sua connotazione fortemente cattolica. Tuttavia Elena Bono aveva un folto gruppo di estimatori e lettori appassionati ed è probabile, oltre che auspicabile, che dopo la sua morte, come talvolta accade, il suo nome e la sua opera siano più presenti di quando lei era in vita.

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Elena Bono con il compositore Giancarlo Menotti a Rapallo

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Nel dossier era contentuta una sezione di Testimonianze che conteneva tre ricordi di persone che l’avevano conosciuta e avevano avuto con lei un forte legame: Viviane Ciampi, Rosa Elisa Giangoia e Elvira Landò, tutte e tre poetesse e studiose, figure rappresentative del mondo culturale genovese e non solo.

Ho pensato di ricordare oggi Elena Bono ripubblicando qui questi loro interventi:

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VIVIANE CIAMPI

L’AMORE PER IL TEATRO

Viviane Ciampi

Conobbi Elena Bono nel 1996 in occasione della rappresentazione teatrale di un suo dramma Flamenco Matto poi, ebbi occasione d’incontrarla molte volte nella bella casa di Chiavari dove si era ritirata in quasi ascetica dedizione alla scrittura. E del mio primo vero incontro con la romanziera-poetessa-drammaturga, vorrei far partecipe il lettore che non la conoscesse, per inquadrarne la figura e la personalità.

      Un sabato di fine giugno a Chiavari.

     Elena Bono mi aspetta per un progetto di traduzione in francese del poemetto Invito a Palazzo apparso in seguito sulla rivista canadese Estuaire e sul sito Mouvances. Poemetto che, al pari di altre sue opere – le è stato ‘dettato’ in sogno, come dettati in sogno sono i nomi orientali i quali – racconta Elena – «arrivavano di notte e talvolta mi svegliavano per la smania di essere scritti sulla pagina».

     Quella prima volta mi accoglie il marito Gian Maria Mazzini, figura importante dell’imprenditoria ligure e della cultura. Tra i suoi avi Giuseppe Mazzini. È al marito negli ultimi anni della sua vita (a causa di un ictus che colpirà Elena nel corpo ma non nella mente) detterà le sue opere poetiche e teatrali, i suoi saggi, i suoi romanzi.

     Gian Maria mi fa strada: percorro un lungo corridoio di libri e quadri antichi alle pareti, corridoio impreziosito da una fitta collezione di stampe del Seicento, da medaglieri con le onorificenze dei personaggi di spicco di casa Mazzini e in quel medagliere figura anche Elena Bono insignita dell’ordine della Commenda dall’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

      Elena, che arriva poco dopo nel salotto, non ama i convenevoli e si dimostra subito interessata a ‘l’air du temps’ che si respira oggi in Francia dal punto di vista politico e culturale, alla musica che potrebbe accompagnare future sue opere teatrali «anche se da parecchio tempo ascolto soprattutto il silenzio!», agli abiti di scena che ha immaginato per tale personaggio e mi fa partecipe del suo grande amore per la cultura greco-latina – con suo padre preside di una scuola di Chiavari parlava abitualmente in latino non per sfoggio ma per reale amore di quella lingua–.

     Elena è dotata di particolare religiosità e questo traspare in tutta la sua opera pur non escludendo il dubbio da cui è stata assalita molte volte e l’intervento della ragione. Per Elio Gioanola, prefatore dell’Opera Omnia il percorso mentale della poetessa è chiaro: “Forse non c’è stata altra vita d’artista, nella nostra modernità poetica, così radicalmente offerta ad una vocazione”.

      Mi parla di come fu gioiosa – pur se sofferta – una sua traduzione di Sofocle, di quanto la traduzione sia di stimolo al nascere delle sue opere e quanto la figura del traduttore, specialmente in poesia sia poco capita non solo dai lettori ma da molti poeti non traduttori.

     E nel mentre mi prende le mani tra le sue s’interrompe, per osservare la stoffa del mio vestito, la sfiora con le dita quasi per un sussulto di levità. Ma non è frivolezza questo atteggiamento, in quanto tutto va riportato alla sua creatività, all’amore per il teatro che estendeva non solo alla sceneggiatura ma anche alla scenografia e ai costumi. Quando mi saluta mi confida in un buon francese – amava, per vezzo utilizzarlo ogni tanto così come i dialetti –: “J’ai demandé à Dieu de ne jamais écrire des bêtises!» (« Ho chiesto a Dio di non scrivere mai sciocchezze!”).  

     Una delle ultime volte che la vidi fu alla ‘Festa del Teatro di San Miniato’ (Pisa) una bella estate di qualche anno fa dove si rappresentava il suo dramma teatrale Le spade e le ferite per la regia di Ugo Gregoretti in cima alla Torre Saracena in cui convocava Pier delle Vigne (Marco Spiga),  Innocenzo IV (Eros Pagni) e Federico II (Massimo Foschi). Rivedo Elena, stanca ma felice con le scarpe basse e di raso che uscivano dalla doppia gonna.

    “Guarda quanti spettatori!” dice Gian Maria in attesa della rappresentazione. A quel punto un giornalista chiede alla drammaturga: “Chi sono i buoni e chi i cattivi?” e poi “Che cosa significa stare in bilico tra il bene e il male?”. Elena risponde scherzosa: “ Questo non lo sappiamo e neppure la scienza può dipanarlo”.

      Vederla attendere la notte toscana a testa china sul programma, è un vero privilegio. Più tardi, a notte fonda, il calore degli applausi copre un fitto tramare di rane.           

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                                            ROSA ELISA GIANGOIA

                                        UN REALISMO SPIRITUALE

Rosa Elisa Giangoia

   Conoscevo da tempo la poesia di Elena Bono, di cui avevo letto alcuni libri soprattutto su indicazione della mia cara amica poetessa Margherita Faustini, ed avevo molta ammirazione nei suoi confronti, per cui, quando venne l’occasione di incontrarla, ero molto contenta, ma anche piuttosto emozionata.

   L’avevo invitata, insieme ad altri poeti genovesi (Elio Andriuoli, Aldo G.B Rossi, Margherita Faustini e forse qualche altro che ora non ricordo) alla Biblioteca Servitana,  per un recital di poesie religiose in omaggio al servita e poeta padre David Maria Turoldo.

   Elena Bono accettò volentieri l’invito e mi disse che avrebbe letto almeno una poesia sulla Madonna, perché era sua abitudine, in ogni recital, in qualunque occasione e ambiente, dedicare una poesia a Maria. Mi piacque questa sua esplicita dichiarazione, mi diede l’impressione di una persona determinata e decisa, sicura nella sua fede, un testimone, insomma.

   Poi ci furono varie altre occasioni d’incontro e si stabilì un certo dialogo, per cui capii che per lei due cose erano particolarmente importanti, la sua fede religiosa e la sua giovanile ammirazione ed adesione ideologica alla Resistenza partigiana. Mi disse infatti che a lei «giovinetta» (e si riferiva al periodo di sfollamento sull’appennino ligure), tramite il sacrificio dei suoi compagni e coetanei, la Resistenza aveva «rivelato l’eterno ripetersi della Passione redentrice di Cristo attraverso la storia e il dovere per ognuno di noi di essere presente e facitore (non semplice spettatore) nella Storia.» A questo proposito riprendo con precisione le parole dell’intervista compresa nel n. 10 di LETTERA in VERSI dell’ottobre 2004 che le ho dedicato (https://bombacarta.com/wp-content/uploads/letterainversi/letterainversi-010.pdf), anche se sono concetti che le ho sentito ripetere diverse volte.

   Capii così che per lei la Storia era molto importante, erano soprattutto molto rilevanti i comportamenti degli uomini, in particolare di quelli che avevano avuto responsabilità in eventi determinanti, in cui, schierandosi da una parte o dall’altra, avevano preso posizione, per loro, ma anche per altri, per il Bene o per il Male. Di qui era nato quel suo realismo spirituale, via d’uscita dalle ideologie, posizione imperdonabile nel milieu letterario del momento, che l’aveva portata a riflettere sulla drammatica contrapposizione nella recente coscienza europea tra tentazioni superoministiche e fedeltà alla morale, impersonata, a suo giudizio, dall’azione dei partigiani. Ma dalla sua visone di contrapposizione e necessità di scelta tra Bene e Male, con senso di responsabilità in prospettiva escatologica, erano nate anche le sue opere di narrativa e di teatro, sempre di alto livello etico, in cui l’uomo, agendo nella Storia, si trova a doversi porre di fronte all’Assoluto, pur nella consapevolezza della presenza e dell’azione della Provvidenza nella Storia.

     Capii che per Elena Bono nella Storia tutto era contemporaneo, perché immutato è lo spirito dell’uomo di fronte al Bene e al Male.

    Nel volgere di pochi anni le condizioni di salute di Elena Bono divennero quanto mai difficili e qui ci fu da parte sua, pur con quel suo corpo minuto e fragile, una grande lezione di accettazione e di pazienza, per quel suo sopportare, non tanto con rassegnazione, ma piuttosto con energia intellettuale e spirituale, tutte le limitazioni della sua condizione, tenendo sempre vigile e attento il suo mondo interiore, cosa che dimostrava la sua abitudine ed attitudine a nutrirlo, ad arricchirlo con la sua Fede, per mantenerlo forte. Si capiva, come disse ancora nell’intervista a LETTERA in VERSI, quanto fosse importante per lei il fatto di aver imparato “da Dio la misericordia non solo verso gli altri ma anche verso la nostra povera persona con tutte le sue molte miserie corporali e spirituali”. Così infatti ha guardato a se stessa e alla sua vita, anche dopo la morte dolorosa del marito, lungo le difficoltà e le sofferenze che l’esistenza le ha riservato fino alla fine. Questo perché credeva fermamente che l’uomo, nella pienezza della sua umanità, condividesse con Dio una somiglianza e perciò il senso di tutti i Valori.

   Una volta ebbi a chiederle chi poteva essere per lei un esempio di quest’uomo veramente umano, chi poteva rappresentare, a suo giudizio, una figura ideale. La sua risposta subito mi stupì, mi sorprese, perché avrei immaginato mi indicasse un grande del passato. Invece mi disse: “Bisagno”. Era questo il nome di battaglia durante la Resistenza di Aldo Gastaldi, il primo partigiano d’Italia, cattolico, morto subito dopo la Liberazione a seguito di un incidente su cui permangono molti dubbi. Poi, ripensando alla sua valorizzazione della Resistenza, capii le ragioni della sua scelta, quelle che ben chiarisce nella lirica O Bisagno, in cui tratteggia la figura di questo giovane che si è impegnato per il bene di tutti, partendo dalle idee di giustizia, libertà e fratellanza apprese dai Vangeli.

   L’adesione alla Resistenza rimase viva per Elena Bono per tutta la vita. Per lei l’8 settembre del ‘43 era stato il giorno del ridestarsi alla Storia, di fronte a cui aveva capito che non bisognava chiudere gli occhi di fronte alla realtà, ma guardarla bene dentro di sé per comprenderla e capire che cosa si dovesse fare. Infatti la poesia che mi diede per l’antologia Notte di Natale (2005) rievocava ancora un Natale di guerra, quello del ’43, appunto. Quest’attenzione alla realtà, però, per lei era anche l’atteggiamento che si doveva continuare ad avere al giorno d’oggi, dato che ormai «tutto rischia di esteriorizzarsi».

   Anche la fedeltà al culto della Madonna l’accompagnò fino alla fine. Infatti l’ultima poesia che mi diede per l’antologia Ti prego (2011) era dedicata a Maria (Ecco già la fanciulla).

   Una grande lezione di fedeltà la sua, fedeltà alla Fede capace di orientare nella vita e nella Storia.

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                                        ELVIRA LANDÓ

                              L’ASSOLUTO NEL QUOTIDIANO

Elvira Landò

        Elena Bono, la più alta e originale voce poetica del secondo Novecento, si è spenta la sera del 26 febbraio 2014.

        Da quando il padre Francesco Bono vi era giunto quale preside del liceo Federico Delpino, nel 1931, era vissuta a Chiavari, nel quartiere più occidentale, tra il mare  e le ombre scure dei monti che vi discendono a picco: – I monti neri della mia terra…questo nero Appennino, mandria di tori neri che corre al mare e quando il tuono va di monte in monte ha fragore di zoccoli…”

        Così inizia Fanuel Nuti, il terzo volume della trilogia Uomo e Superuomo, cui Elena Bono si dedicò dal 1957, e così certamente apparve a lei bambina quello scorcio di paesaggio, tra luci d’acciaio e rupi alternate ad olivi e pini, tragicamente duro ed evocativo di drammi. Poi Chiavari le piacque e scrivere della sua storia e dei suoi segreti con sguardo attento e sensibilità senza pari fu per Lei intrapresa appassionata: in Fanuel Nuti oltre al dramma di quella lotta fratricida e al funesto scontro di civiltà, quella della morte e quella della libertà, Chiavari, il suo entroterra e i diversi personaggi vengono raffigurati con icastica seduttiva verità.

        Alla Bono staffetta partigiana dobbiamo infatti le più belle e originali pagine sulla Resistenza. E Chiavari, emblematico di mondi più vasti, restò il suo luogo reale, dove in quasi ascetica semplicità, ma attorniata sempre dalla bellezza, compose le sue opere, ininterrottamente, sino agli ultimi anni, dettandole poi quando gli occhi del corpo non l’aiutarono più, sostituiti da uno sguardo capace di scavare sino alle soglie del mistero.

        Del resto, così empaticamente ricettiva di emozioni ed esperienze, al punto di piangere  sotto il busto di Giacomo Leopardi – Giacomino come lo chiamerà sempre –  nella villa frequentata da Francesco Bono preside a Recanati quando lei era ancora di cinque, sei anni, Elena avrà sempre di Chiavari una visione più tragica che idillica, come mi raccontava quando ripensava con me le passeggiate che, bambina, faceva con il padre. Lungo i sentieri che li portavano mano nella mano verso le colline di Bacezza, Ri Alto, S. Giulia, passava fra loro il musicale mistero della parola. Ritmi arcani, che a lei suonavano forse come presagi, cifra di verità che si andavano svelando, mentre il cuore cresceva, e già evocavano gli spiriti magni, e Antigone e Cassandra, e Medea, e Catullo e Virgilio… ma anche  Adamo, e Pilato, e il centurione…e il Cristo – sofferente e amoroso… E mentre dall’alto insieme guardavano il mare pezzato di porpora e gli olivi che si piegavano al vento, le diverse favelle, greco latino italiano, erano tra loro veicolo di vita e di conoscenza. Il senso ultimo dell’esistere, l’ansia di libertà, la dignità anche dell’ultimo degli  uomini,   il coraggio e il dolore… retaggi di una civiltà che dai poeti giungeva ad Elena, vennero illuminati dal messaggio di Cristo: ma questa di Elena fu sempre una religiosità incentrata sulla conoscenza senza illusioni o falsi pudori, e sulla pietà, più vicina all’esempio evangelico e francescano che ad ogni altra corrente o esperienza  o ideologia.

Alla verità che nasce nella carne che soffre, nella coscienza che sceglie, Elena dedica tutta la sua vita, mettendo a frutto il dono della poesia che il padre le ha trasmesso: poesia che non ignora nulla del male e dell’abiezione più turpe, poesia come limpida insostituibile parola, che nella sua fedele lucidità tende incessantemente ad un oltre, ad un più pieno significato, ed è, sempre, pietà nel dolore, e libertà di fronte ad ogni abisso nullificante, come ad esempio quella religione del nulla che del nazismo è l’ultimo significato, e non è scomparsa dall’orizzonte del nostro vivere.   

Elena Bono ha proposto in forma nuovissima, raffigurando percorsi e  vissuti concreti, tematiche e propositi, protagonisti e miti del mondo classico come della più tragica contemporaneità,  portando nelle sue opere l’orizzonte culturale greco e romano, le origini della cristianità, vicende medievali, donne e dee, uomini abbietti ed eroi e il mondo fascinoso e misterioso del Tigullio: e nel rappresentare il complesso e drammatico cosmo della condizione umana, ha saputo redimerne la negatività nella misericordia, ha reso presente nel quotidiano l’Assoluto. Liriche, teatro, come anche le opere di narrativa, mettono in scena quel mondo interiore a noi tramandato nei secoli con la scrittura,  ma che Elena Bono intuisce e rappresenta nel nascere, facendolo rivivere direttamente nei protagonisti.

Ai giovani la sua scrittura può offrire la cifra per entrare negli orizzonti più diversi, dove la storia diventa storia di uomini e i sentimenti, le idee, le lotte si lasciano scoprire nella loro grandezza. E per tanto la storia può, se proposta così nel suo farsi, nella sua genesi, aiutare a dar forma ed espressione alle emozioni, ai desideri, ai progetti… e diventare contemporaneità da decifrare.

Tutto questo nella bellezza di una parola che appare semplice perché efficace, limpida e vera, che non rifugge dagli abissi orrendi del male, che non mistifica e non tradisce, non addolcisce e non inganna. E pertanto non è mai banale e sa gettare, su ogni contenuto espresso, una luce nuova e rivelatrice.

           Un solo esempio: leggiamo Morte di Adamo, una delle più drammatiche evocazioni, nelle ultime ore di Adamo, del dramma che unisce per sempre anche nel male l’uomo e Dio, l’uomo che uccide Dio perché ha avuto la libertà.

           Il racconto incentrato sul dialogo tra Dio e Adamo che si appressa alla morte prepara al sentimento della colpa e al mistero della Redenzione. Il dramma sacro che vi si celebra eterna il dolore che riecheggia nel cosmo tutto, per l’uomo che uccide il fratello e in lui uccide Dio. La vicenda va oltre il tempo, si fa attuale con la morte di ogni uomo, si consacra nel mistero della morte di Cristo. Adamo si fa responsabile del delitto di Caino, e piangerà per sempre il dramma di ognuno dei suoi figli. L’innocenza violata, il mistero del male, del dolore e in ultimo il senso della libertà assumono in questo breve scritto una dimensione potentemente universale. Non è possibile reggere a un tale strazio, se non affidandosi ad un aiuto  che trascenda le forze umane.

           Morte di Adamo si eleva a simbolo del drammatico ultimo confronto nella libertà tra l’uomo e Dio.

          Molto altro ha scritto Elena Bono, continuando nella solitudine, nella meditazione, e pure nella gioia dell’amore e delle amicizie che le tessevano attorno una rete profonda, e soprattutto ascoltando, ché una potente visione o una voce autorevole dal suo profondo Sé le dettavano quelle pagine che restano adesione intima alla realtà e movimento continuo verso l’altrove, verso il mistero.

          Mistica, certo, la sua capacità evocativa, ma insieme realistica, come nella bellissima traduzione da Sofocle di Antigone, Edipo re ed Edipo a Colono, esemplare per la semplicità, la naturalezza, la vivacità schietta e popolare del linguaggio, al punto che Pasolini ne apprezzò e ne apprese la lezione.

          Tradotta in inglese, francese, spagnolo, greco, ceco, portoghese, arabo, svedese, Elena Bono ha incontrato forse più attenti lettori all’estero che in Italia, anche se  già Emilio Cecchi, poi Stas’ Gawronsky, Elio Gioanola, Francesco De Nicola, Roberto Trovato, Giovanni Casoli, Daniele Capuano, Andrea Monda… e ancora registi e attori, come Ugo Gregoretti, Salvatore Ciulla, Daniela Ardini… le hanno riconosciuto l’autorevolezza che travalica il tempo.

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Ricordo di Luisella Carretta

Scomparsa di una grande artista

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Recentemente è mancata dopo lunga malattia una delle persone più rappresentative nel campo dell’arte e della cultura, non solo nella sua città, Genova, ma in Italia, dove purtroppo non ha avuto i riconoscimenti che meritava, come spesso accade nel nostro Paese. Luisella Carretta ha avuto invece ampi riconoscimenti all’estero, in particolare in Canada, dove le sono stati tributati qualche anno fa grandi onori e dove era stata allestita una grande mostra delle sue opere. Ma era stata riconosciuta e apprezzata anche in altri lontani paesi, come per esempio il Sudafrica. Grande viaggiatrice ed esploratrice del mondo sia a livello fisico che a livello extrasensoriale, Luisella era una sorta di medium dell’arte, attività di per sè medianica, e della vita. Fra le sue “avventure” artistico-esistenziali ricorderò quella in Messico, dove, entrando in contatto con lo sciamanesimo, nel deserto del Durango aveva sperimentato stati di trance arrivando a camminare anche su carboni ardenti senza provare dolore. Altrettando “avventurose” erano state la sua esplorazione del cratere del Vesuvio e quella della grotta della Sibilla Cumana di cui dà conto l’articolo riprodotto qui di seguito che lei aveva scritto per il numero uno della mia rivista Poesia e Conoscenza. Nomade per vocazione, Luisella aveva viaggiato per anni attraverso il mondo, dalla Tanzania alla foresta Amazzonica, dal grande Nord, Norvegia e Islanda, al Guatemala e alle Ande al Medio Oriente arabo , traendone continua e rinnovata ispirazione artistica e spirituale, nonché appunti di scrittura confluiti poi nei suo libri-taccuini Atelier Nomade e Arelier Nomande 2, pubblicati dall’editore Campanotto che sempre ebbe per lei una particolare aattezione. Di queste sue esperienze spirituali del limite, rimangono, oltre ai taccuini, le sue installazioni e soprattutto i disegni e gli acquarelli dedicati agli elementi naturali e ai quali Luisella intrecciava le parole, come questi che riproduciamo a seguito dell’articolo e che si riferiscono appunto alla sua esperienza nella grotta della Sibilla. Ma vorrei ricordare il lavoro straordinario fatto da Luisella tra arte e scienza studiando a lungo i voli degli uccelli e quelli delle api, lavoro quest’ultimo svolto in sinergia con il biologo e poeta Giorgio Celli, professore all’Università di Bologna: da qui sono nati molti meravigliosi disegni e acquarelli che, su una base di osservazione scientifica, trasformano i movimenti degli uccelli e delle api in ritmi grafici e in opera d’arte. Penso che si dovrà dedicare in futuro uno studio approfondito alla figura e all’opera di Luisella Carretta, mettendone finalmente in luce la grande ricchezza e originalità e la complessità di un lavoro che si è svolto su molti piani e in molte diverse direzioni, tuttavia intrecciandole. Figura che si può ben definire “sciamanica”, Luisella Carretta è stata una voce isolata in un’epoca storica che di queste antiche radici spirituali non ha tenuto in genere molto conto. Tuttavia è proprio a una figura come la sua, che ha saputo cogliere le sottili interazioni e tessiture fra la natura e la mente umana, fra il visibile e l’invisibile, fra una magia che si fa scienza e una scienza che affonda la sua origine lontana nella magia, che abbiamo bisogno sopratutto oggi, quando si sono smarriti quei rapporti vivificanti che danno un senso all’esistere dell’uomo nel mondo, per trovarci relegati in una realtà grigia e soffocante che sembra voglia spegnere ogni scintilla.

Addio Luisella, ma tu sarai sempre presente fra noi con la tua opera e quell’amore che hai saputo dare a chi ti era vicino e al mondo.

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INCONTRO CON LA SIBILLA CUMANA


Cuma, agosto 2011
Entriamo nell’antica città, camminiamo lentamente lungo il corridoio tra gli alti e massicci muri di pietra.
Improvvisamente a sinistra si apre un varco e vedo la grotta. Entro e mi sembra di aver già perso i contatti con il mondo. Mi trovo nel buio, ma poi riesco a vedere una stretta fessura nella roccia che proietta lame di luce all’interno. Forse la Sibilla non se n’è mai andata da qui.
Nel mito è descritta come una figura profetica che offriva un’interpretazione dei fenomeni naturali, delle posizioni degli astri, dei sogni, del volo degli uccelli. Qui ancora si potrà percepire la sua sottile, evanescente presenza?
Intorno al Vesuvio si contano 350 microscosse al giorno e quest’energia rende diversi. Mi è difficile pensare che non si sia fermata a lungo qui. Ma sicuramente, aveva il dono dell’ubiquità.
Le persone entrano in silenzio senza avvicinarsi troppo, offrono fiori, alcuni accendono delle torce e la grotta si riempie di un odore di fumo acre e le ombre si muovono sulle pareti…Tutti sono come me, in attesa.
Perdiamo il senso del tempo: poter attraversare il tempo significa anche questo.
Mi sembra di vederla apparire, nella penombra, vestita di bianco, immobile, gli occhi chiusi.
Parla in una lingua che non conosco, ma, non so come, comprendo. Dice e dice ancora e so che contemporaneamente può comunicare agli altri cose diverse: messaggi che si accumulano.
Ora si forma davanti a lei una semisfera di lettere d’idiomi diversi che, muovendosi in varie direzioni, compongono e ricompongono parole semplici, frasi complesse e parole e ancora parole mescolate a sibili e sussurri… Sono vibrazioni che mi colpiscono con forza al petto.
Improvvisamente ritrovo quell’energia forte e incomprensibile di tanti anni fa, a Delfi, nel Tempio di Apollo, davanti alla pietra sacra della Sibilla. Come se, all’improvviso, qualcosa dovesse accadere… Rimango in ascolto.
Aprire la porta per attraversare il tempo. Il silenzio si farà suono e voce.
Il giorno dopo andiamo nel bosco di lecci tra il mare e il lago di Averno. È una foresta fitta con piccole radure circondate e quasi protette da scuri rami intrecciati e irregolari. Cammino a lungo, cerco il luogo del mio possibile incontro con la Sibilla. Trovo una radura separata dal mare
da un muro e una torretta costruita dai Saraceni. Mi fermo e mi siedo sull’erba coperta dalle foglie secche.
Mi guardo intorno. La luce, quasi al tramonto, s’infila irregolarmente tra i rami creando suggestioni e isioni. Socchiudo gli occhi e vedo una figura bianco lucente nel folto scuro degli alberi: l’abito è di garza, corroso ormai dal tempo e impregnato, in basso, dal colore della terra.
Mi alzo, e di nuovo mi metto in ascolto.
Domani. Ma cosa sarà il domani?
La Sibilla conosce il messaggio del volo degli uccelli, anche noi potremmo avere questo potere, ma non osiamo leggere quei segni: forse abbiamo paura di porre domande per non sentire risposte che non sapremmo comprendere…
Questo è il nostro limite. Lei vede l’Oltre, dà risposte fulminee, oppure lentissime e misteriose.
Dovremmo cominciare a interpretare sequenze di parole, un Non-Senso che si rivela.
Sento frasi spezzate nascere dentro di me:
“Vento, pioggia, pietre, alberi e foglie: loro sono testimoni e sanno. Accarezzare gli alberi, inspirare i loro umori che cambiano nel vento e nella pioggia. A volte urlano rompendo il silenzio. Parlano del loro contatto con la terra e il cielo si apre su di loro nero o splendente, coperto da nuvole bianche trascinate dal vento. Anche lui racconta, si muove negli spazi ampi, ma anche nelle fessure dove sibila e produce suoni mutevoli. Contare i numeri delle nervature delle foglie, le rughe delle pietre, i granelli di sabbia, numeri piccoli e grandi: una volta decifrati saprete… Le pietre serbano lontane memorie: sanno cosa è successo nei millenni, sono apparentemente immobili, ma si sono mosse e trasformate molte volte per volare in altri luoghi”.
Dopo, solo un lungo silenzio.
Al di là del muro di pietra si ode il fruscio del mare che si confonde con il vento tra gli alberi: ora mi sento in una sfera protetta da un intreccio di rami sempre più scuri.
Mi muovo nella radura e vedo un avallamento nel terreno, pieno di foglie vicino all’albero della Sibilla. D’istinto mi inginocchio e poi mi sdraio. Mi sento come in una culla.
Rimango a lungo immobile: nel silenzio anche il cadere di una foglia è un rumore.
Ora sento forte il contatto con lei.
Poi una voce sembra uscire dall’interno del mio petto e farsi suono, la sento forte come se fosse la mia:
“E verrà un giorno quando tutto intorno a noi sarà di nuovo luminoso”.

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Ecco qui riprodotta una delle sue tavole sul volo degli uccelli:

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“NON SOLO È UNA DELLE PIÙ GRANDI POETESSE DEL NOSTRO NOVECENTO, MA UNA SORTA DI EMILY DICKINSON ITALIANA”. È ORA DI PUBBLICARE COME SI DEVE FERNANDA ROMAGNOLI

La dico così, spavaldo, a precipizio. Quarant’anni fa, è il 1980, Garzanti pubblica uno dei libri più importanti della poesia italiana, s’intitola Il tredicesimo invitato. Per difetto di vita – autodidatta, maestra elementare “in disagiate sedi di montagna”, casalinga, una vita priva di clamorosi eventi, claustrale, claustrofobica, pressoché a Roma, con la parentesi di qualche trasferimento a Pinerolo, Caserta, Merano – e talento estremo, l’autrice meriterebbe un abito cinematografico, come Vivian Maier, sarebbe, in altri lidi, una autrice ‘di culto’, come Elizabeth Bishop, come Clarice Lispector, certo, una di quelle che atterri all’aeroporto e trovi, in visione abbagliante, su un muro, l’incipit di una sua poesia. Eppure. Fernanda Romagnoli gioca alla sparizione. Quando l’ho scoperta – era il 2003 e la Libri Scheiwiller aveva ripreso Il tredicesimo invitato insieme a una antologia di “altre poesie”, per cura di Donatella Bisutti, che qui interpello per capire e rilanciare – subii un frastuono elettrico. Chiunque legga la Romagnoli – qualche anno fa l’abbiamo letta, in pubblico, a Santarcangelo, insieme alla cantautrice Maria Antonietta – ne resta folgorato. Ha il potere di intuire di ciascuno, di ogni cosa, il vetro e il punto di frattura. È inesorabile. Spesso crudele. Nell’introduzione a quell’antologia – ora introvabile – la Bisutti scrive che la Romagnoli è “simile forse ad alcune grandi poetesse russe del nostro secolo, come Marina Cvetaeva”; più volte cita “la poetessa americana Emily Dickinson, che amava molto e alla quale per certi versi è affine”, per definirne il talento ferino, extracanonico. Non è un’esagerazione. Leggete come parte Capro espiatorio:

Uggiola alla fessura, cagna-luce.
Qualcuno il mio sonno ha legato
quattro zampe in un mazzo. All’aurora
chi aprirà? Voglio alzarmi. Ho paura.
Nel pozzo del cranio
– senza uscita –. Nel buio sacrario
sconsacrato. (La luce come un’unghia
sotto le porte).

Donatella Bisutti

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ALTRO CHE RETORICA DELLA SOLIDARIETÀ: IL VIRUS HA SPALANCATO ABISSI DI VUOTO E DI SEPARAZIONE. ALMENO, ESISTONO LE MONTAGNE, PROMESSA DI INNOCENZA… L’EDITORIALE DI DONATELLA BISUTTI

Molti sono gli aspetti oscuri e le contraddizioni che circondano questo virus di cui finora sembra che nessuno abbia capito esattamente l’origine e gli effetti, tante sono le diverse versioni e affermazioni di eminenti virologi di tutto il mondo. Si è parlato di complotti e di profezie, si è ingigantita o minimizzata la sua pericolosità. In certi momenti si è addirittura ipotizzato che esistessero virus diversi. Anche sulla sua durata sono state espresse valutazioni assai differenti. C’è chi dice che sparirà in breve da solo. È l’ipotesi che preferisco. Se sarà cosi, sarà come se gli alieni fossero discesi sulla terra e poi ripartiti a bordo del loro UFO rimanendo a noi sconosciuti.

Donatella Bisutti

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“È INAFFERRABILE, VIVIFICA E TI UCCIDE. EPPURE IO CERCO LA SUA PRESENZA DA ANNI”. GIORGIO CAPRONI E LA LOTTA INCESSANTE CON DIO

“Ateologia” è un termine che probabilmente non piacerebbe a Giorgio Caproni, che non voleva essere definito un ateo. Così come non amava la definizione di teologia negativa che qualcuno usava per lui. Ma, se la teologia negativa è quella che pone il concetto e la conoscenza di Dio al di là dei limiti della ragione umana, questo è proprio quanto Caproni afferma continuamente non solo nei suoi versi e quindi saremmo legittimati a usare per lui questa locuzione. “Com’è l’universo”, si domanda Caproni, “al di fuori e al di là della nostra percezione? noi chiamiamo nulla ciò che non possiamo conoscere”.

Tuttavia ci possiamo chiedere, Caproni era qualcuno che effettivamente negava l’esistenza di Dio?

Donatella Bisutti

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Appello della Cultura per gli Over 70

Cari Amici, 

     il Blog è temporaneamente sospeso data la situazione in cui ci troviamo, ma verrà ripreso appena possibile con tante novità.
    Intanto però lo riapro eccezionalmente per mettervi a parte dell’Appello  che sono stata indotta a  organizzare e promuovere a seguito della minaccia di una discriminazione che avrebbe obbligato gli Over 70,  di cui faccio parte, a prolungare a tempo indeterminato la già pesante quarantena, anche nel caso di persone attive e in buona salute. 
    Discriminazione incostituzionale, perché avrebbe creato , in base a una nozione opinabile e soggetta a  grandi variabili come l’età, una categoria di cittadini di serie B,  mettendoli sotto tutela  alla stregua  di  adolescenti che , all’opposto, non hanno ancora raggiunto la maggiore età e non sono quindi ritenuti sufficientemente responsabili di se stessi. Una discriminazione lesiva della libertà e della dignità di persone che spesso  ricoprono ancora ruoli di spicco  e di prestigio nell nostra società.  Una discriminazione inaccettabile quando il nostro Presidente della Repubblica ha 78 anni e il Papa ne ha 83.
   Ho pensato quindi che una voce che si levasse dai nomi anche i più  insigni del mondo della Cultura avrebbe avuto un peso determinante e avrebbe giovato , di conseguenza, anche a tutti gli altri  Over 70 magari di professione semplicemente nonni. 
  I fatti sembrano averci dato ragione perché, verosimilmente anche  a seguito di tale iniziativa, e di iniziative con lo stesso intento nate in altri contesti, nel recente Decreto sulla Fase 2  non si parla di discriminazioni in base all’età.
    Pubblico qui di seguito per conoscenza il testo dell’Appello con le 134 firme raccolte in pochi giorni, che avrebbero potuto essere mole di più se non ci fosse stata una grande urgenza di inviarlo in tempo a chi di dovere,  e cioè al Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e ai Ministri  di riferimento.
     La lista dei firmatari, come potrete vedere, contiene nomi di grande rilievo, e l’Appello è stato ripreso dal Corriere della Sera, dall’Agenzia Stampa ANSA, da Avvenire , dal Manifesto, da Libero, dal Corriere nazionale degli italiani all’estero,  da  Arcipelago Milano,  dal blog della Rai e da numerose  altre pubblicazioni, siti e riviste on line. Un risultato  di cui sono felice di farvi parte.
Lo pubblico qui anche perché altre persone Over 70 mi hanno chiesto di poter firmare, ma era ormai troppo tardi per aggiungerle, perciò ho pensato di aprire su questo blog un elenco aggiuntivo,, che verrà pubblicato in calce all’Appello, e in questo caso sarà esteso anche a persone di età inferiore ai 70  ma che vogliono essere di sostegno. Le adesioni potranno essere mandate via mail all’indirizzo:

donatellabisutti@gmail.com

Qui di seguito i links delle pubblicazioni dell’appello su giornali e siti internet su cui si può cliccare per vedere le pagine:

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/appello-anziani

https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/2020/04/27/appello-al-governo-da-mondo-cultura-over-70-per-liberta_27e8b711-489d-4e89-893a-4c3b75118cbc.html

https://ilmanifesto.it/limitare-la-liberta-degli-over-70-e-discriminazione

https://www.corrierenazionale.net/2020/04/27/appello-del-mondo-della-cultura-per-gli-over-70/

www.arcipelagomilano.org/archives contro la discriminazione degli over 70 –  in data  27 aprile

http://poesia.blog.rainews.it/2020/04/appello-al-governo-per-la-liberta/#more-69305

lombradelleparole.wordpress.com/2020/05/05/appello-promosso-da-donatella-bisutti-e-firmato-da-scrittori-filosofi-intellettuali-artisti-a-papa-francesco-al-presidente-della-repubblica-al-presidente-della-corte-costituzionale-al-presidente/

MilanoCosa – http://www.milanocosa.it/senza-categoria/appello-cultura-per-over-70

Pangea Rivista Avventuriera di Cultura e Idee – http://www.pangea.news/nuovo-vocabolario-del-virus-immunita/

Federazione Unitaria Italiana Scrittori – ww.fuis.it

Corriere della Sera 24 Aprile 2020

APPELLO DEL MONDO DELLA CULTURA
CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DEGLI OVER 70

Al Signor Presidente della Repubblica
Al signor Presidente del Consiglio dei Ministri

e p.c,
al Signor Ministro della Sanità
al Signor Ministro della Pubblica Istruzione
al Signor Ministro dei Rapporti con le Regioni
al Signor Ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità

Milano, 23 aprile 2020

Noi, scrittori, artisti, intellettuali, rappresentanti della cultura e tuttora operanti nel contesto sociale, esprimiamo con forza fin d’ora il nostro dissenso nei confronti dell’eventualità di una disposizione limitativa della libertà personale, che volesse mantenere una fascia di persone ancora attive, in buona salute e in grado di dare ulteriori preziosi apporti alla nostra società, in una segregazione sine die solo in base al dato anagrafico, dell’appartenenza cioè a una fascia di età dai 70 anni in su. Noi affermiamo con forza che questa discriminazione sarebbe incostituzionale, in quanto discriminerebbe una fascia di cittadini di serie B, privati della loro libertà con una imposizione del tutto ingiustificata.

Quello dell’età anagrafica non è infatti un criterio che abbia un senso, tanto è vero che in tempi recenti era stata da qualche genetista avanzata la proposta di creare una carta di identità “biologica”, in quanto spesso l’età effettiva non corrisponde a quella riportata sui documenti. Non ci sono inoltre motivazioni fondate per affermare che una persona di 70 anni in buona salute sia più a rischio di questo contagio di una persona di 50 anni, affetta da qualche patologia. Questo contagio ha evidenziato che, prima dell’età – dentro e fuori le case di riposo -, hanno inciso in primo luogo le carenze di necessari presidi sanitari. Secondo alcuni studi, sarebbero più a rischio invece le persone comprese nella fascia di età fra i 50 e i 60 anni.

Questa discriminazione, se venisse imposta, con una forzata reclusione sine die, anche in vista di un possibile eccessivo calore dell’estate in una città come Milano, già provata, metterebbe invece ad effettivo rischio la nostra salute con il protrarsi di una condizione di vita innaturale e anti igienica, quando proprio nella cosiddetta terza età l’aria aperta, il contatto con la natura, la socialità sia pure controllata e il movimento fisico, sono essenziali. Chiuderci in casa vorrebbe dire, perciò, minacciare e non proteggere la nostra salute. Posta in condizioni che rappresenterebbero un delitto sociale da parte dello Stato.

Il vero contagio, il più pericoloso virus diventerebbe questo, inoculato ogni giorno nei nostri cervelli e soprattutto in quelli dei giovani indotti a considerare gli anziani una sottocategoria, una merce avariata, perdendo così la considerazione e il rispetto nei loro confronti, il contatto con le loro radici da cui trarre un prezioso senso di continuità.

Chiediamo quindi con forza che questa discriminazione inaccettabile non venga perseguita, salvaguardando la nostra salute e la nostra dignità, e con esse il bene della nostra società, alla quale abbiamo ancora molto da dare.

Questo manifesto, firmato da artisti e intellettuali, è stato promosso dalla scrittrice e giornalista Donatella Bisutti e viene sostenuto da 134 firme

Eugenio Borgna psichiatra scrittore
Carlo Ginzburg storico
Massimo Cacciari filosofo
Monsignor Franco Buzzi Prefetto Pinacoteca Ambrosiana
padre Enzo Bianchi priore della Comunità di Bose
Paolo De Carli professore di Diritto Pubblico dell’Economia Alberto Sciumé professore di Storia del Diritto
Andrée Ruth Shammah regista teatrale e direttrice artistica Alda Vanoni magistrato
Giorgio Agamben filosofo
Salvatore Natoli filosofo scrittore
Fulvio Grimaldi giornalista e scrittore
Carlo Sini filosofo
Ginevra Bompiani scrittrice ed editore
Giuseppe Conte poeta e scrittore
Ludina Barzini giornalista, scrittrice
Ruggero Savinio pittore e scrittore
Rosetta Loy scrittrice
Valerio Magrelli poeta professore universitario
Cecilia De Carli professore ordinario di Storia dell’arte
Milo De Angelis poeta
Michele Napolitano professore emerito del Politecnico di Bari, capitano della squadra di tennis over 70 di Puglia
Franco Velonà scrittore ex direttore Enel
Vincenzo Arnone prete scrittore operatore culturale
Alessandro Quasimodo attore e scrittore
Nanni Cagnone poeta scrittore
Paolo Ruffilli poeta scrittore editore
Luciano Ragozzino incisore editore d’arte “Il ragazzo innocuo”
Alberto Casiraghi poeta editore d’arte “Il pulcino elefante”
Alberto Schiavi pittore
Massimo Scrignoli scrittore editore
Antonio Ria scrittore operatore culturale presidente dell’Associazione Lalla Romano
Adam Vaccaro poeta scrittore presidente dell’Associazione Milanocosa
Angelo Gaccione poeta scrittore direttore della rivista on line Odissea
Giorgio Linguaglossa poeta scrittore direttore della Rivista on line L’Ombra delle Parole
Silvio Raffo poeta scrittore presidente dell’associazione La Piccola Fenice
Elio Pecora poeta
Luigi Manzi poeta membro del direttivo del Centro Montale
Tomaso Kemeny poeta professore di Lingua e Letteratura Inglese dell’Università di Pavia, Vice- Presidente della Casa della Poesia di Milano
Laura Barile scrittrice
Sandro Lombardi attore
Sarantis Thanopulos psicoanalista
Giulano Ladolfi editore
Antonio Rossi presidente della Federazione Unitaria Italiana Scrittori
Silvia Venuti poetessa pittrice
Vincenzo Guarracino scrittore critico letterario
Flavio Parozzi ingegnere, membro Commissione Energia Ordine Ingegneri di Milano, presidente dell’Associazione CISE2007 (Centro Italiano Sostenibilità Energia
Ludovica Ripa di Meana scrittrice drammaturga poetessa
Laura Lepetit, fondatrice della Casa Editrice La Tartaruga
Antonio Gnoli giornalista e saggista
Gianni Dessì pittore scultore scenografo
Leon Blanchaert gallerista antiquario project manager
Italo Spinelli regista
Paola Splendore scrittrice professore di Letteratura inglese all’Università di Roma
Mariangela Gualtieri poeta drammaturga attrice
Nino Aragno editore
Beppe Provenzale architetto scrittore
Jane Wilkinson, Professore di letteratura inglese e postcoloniale
Vito Taverna pubblicitario scrittore operatore culturale
Luciana Percovich Libera Università delle Donne
Paolo Valesio poeta saggista professore emerito della Columbia University, presidente del Centro Studi Sara Valesio
Vivian Lamarque poeta
Tiziano Rossi poeta
Rosita Copioli poeta e scrittrice
Claudia Scandura, professore di letteratura russa e traduttore
Salvatore Veca filosofo
Nicoletta Mondadori scrittrice
Emilia Lodigiani fondatrice della Casa Editrice Iperborea
Virginia Spinnato dirigente scolastica
Caterina Graziadei. docente e traduttrice
Maria Fiorella Scandura Prefetto emerito
Anna Rusconi traduttrice letteraria
Alessandro Triulzi storico
Natalia Chestakova insegnante universitaria
Pierangelo Andreini prof Politecnico di Milano, Vice Presidente Generale ATI
(Associazione Termotecnica Italiana)
Claudio Zanini scrittore pittore
Paolo Bulli architetto
Paola Paderni Associate Professor of History and Institutions of China Department of Asia, Africa, Mediterranean
Ugo Rubeo professore di Lingua e Letteratura Angloamericana Università La Sapienza
Giacomo Graziani architetto urbanista
Adriano Bassi musicista direttore d’orchestra
Mario Baudino scrittore giornalista
Anna Marzetti Antonelli programmista regista Radio3
Giuseppe Di Giacomo professore ordinario di Estetica Università La Sapienza
Sergio Baroni gallerista
Barbara Alighiero, giornalista, operatrice culturale
Ettore Buccianti editore
Valentina Fortichiari giornalista scrittrice docente a contratto in comunicazione Vittorio Grotto insegnante formatore
Terry Olivi insegnante scrittrice operatrice culturale
Alessandra Fasanaro architetto
Lida Viganoni professore Università di Napoli “L’Orientale”
Franco Buffoni poeta ordinario di Letterature Comparate Università di Cassino
Sandra Artom giornalista
Francesco Casaretti scrittore
Ignazio Didu docente universitario
Luciana Mameli insegnante liceale
Jolanda Bufalini giornalista
Mauro Picozzi direttore Sares Spa
Gianluigi Colin artista
Roberto Ferrari Priore Chiesa S. Angelo di Milano
Gabriella Cinti grecista docente universitaria, performer
Gabriella D’Ina docente master editoria
Elio Gioanola critico letterario scrittore e docente
Gioxe De Micheli pittore
Irlando Danieli musicista compositore
Jacopo Gardella architetto
Bianca Pitzorno scrittrice
Rossana Dedola psicoanalista e scrittrice
Lella Ravasi psicoanalista e scrittrice
Alberto Bellocchio poeta
Donatella Bisutti poeta e scrittrice
Marina Corona poeta e scrittrice
Silvia Vegetti Finzi psicoanalista e scrittrice
Anna Nogara attrice
Bianca Maria Frabotta poeta professore universitario
Vincenzo Balena scultore
Renato Minore scrittore poeta giornalista
Daniele Cavicchia giornalista scrittore
Gianfranco De Palos artista
Guido Oldani poeta scrittore
Paolo Lagazzi scrittore
Laura Cantelmo docente
Ottavio Rossani giornalista scrittore
Roberto Burlando, economista, docente universitario
Maria Grazia Meriggi prof ordinaria di storia contemporanea università di Bergamo
Letizia Cariello prof. di Anatomia Artistica Accademia di Belle Arti di Brera
Anna Cascella Luciani poeta
Ida Regalia Professore Sociologia del lavoro
Corinna Ferrari, professore di Estetica
Giorgia Sensi, traduttrice
Annamaria Ferramosca biologa e poeta
Carroll Mortera insegnante di inglese ex formatrice SSIS Roma tre ex presidente di TESOL
Adriana Gloria Marigo Caosfera Edizioni
Edith Dzieduszycka artista

Stiamo continuando a ricevere adesioni e anche adesioni di persone che non sono comprese nella fascia degli over 70 ma che vogliono sostenere questa petizione, tuttavia data l’urgenza riteniamo di dover chiudere dopo aver raccolto 134 firme. Ci scusiamo con le persone che non abbiamo fatto in tempo a raggiungere.

per informazioni: donatellabisutti@gmail.com

Adesioni Aggiuntive

Graziella Tocchetti
Eduardo Spano professore universitario
Giorgia Sensi
Loredana Magazzeni poetessa scrittrice
Annarosa Buttarelli scrittrice
Giuliana Caccia scrittrice
Gabriella Baldissera scrittrice
Elda Clerici scultrice
Laura Maria Guglielminetti scrittrice
Antonia Dosi scrittrice
Lidia Quercia scrittrice
Simone Loukmann scrittore
Adriana Benedetto scrittrice
Luigi Celi scrittore
Bianca Maria Spaziani operatore FAO
Francesca Ponzi insegnante e traduttrice
Donatella Pirona docente universitaria
Anna Maria Carpi poeta
Piero Nissim artista scrittore
Francesco Solitario filosofo scrittore editore
Giorgio Guizzetti prof emerito università di Pavia
Elsa Cattazzo
Fabio Dainotti poeta operatore culturale
Graziella Sidoli scrittrice, traduttrice trilingue
Paolo Frau
Daniele Gigli poeta scrittore

Adesioni under 70

Gabriella Colletti scrittrice

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Il Dossier – Camminare

Proseguiamo con la pubblicazione del Dossier CAMMINARE, iniziato con Paola Loreto, e che vedrà apporti successivi di poeti scrittori e artisti che poi speriamo di raccogliere in edizione cartacea.

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Alfredo Tradigo

Alfredo Tradigo è nato a Milano, dove si è diplomato in grafica e laureato in storia dell’arte. Ha lavorato come giornalista e critico d’arte in diverse case editrici milanesi (Rusconi, Domus, Rizzoli, San Paolo). Ha collaborato con i quotidiani Avvenire, Luoghi dell’Infinito, Osservatore Romano. Ha pubblicato Icone e Santi D’Oriente, L’Uomo della Croce, Nel Nome di Giovanni, Per Salire Bisogna Crederci, Rio Sole, e le raccolte di poesia, Il Volto Stupito delle Cose, Cercando il Cervo, L’Orto dei Semplici.

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Ada Negri

Un Femminicidio Culturale

Ada Negri, 1870 – 1945

Il saggio che pubblichiamo qui è la relazione che è stata fatta al Convegno su Ada Negri, E’ Possibile Vivere Soltanto di Poesia che si è tenuto a Lodi il 15 Febbraio 2020 in occasione dell’anniversario di 150 anni dalla nascita. Il Convegno è stato coordinato dal dottor Tino Gipponi.

E’ appena uscito nella collana Oscar Moderni Baobab Mondadori un volume a cura dello studioso e poeta Pietro Sarzana, che raccoglie la più gran parte dell’opera di Ada Negri in versi e in prosa in più di 900 pagine, riportando alla luce una scrittrice dimenticata:

Il mio intervento verterà sulla poesia di AN e innanzitutto su come la poesia di AN si situi nel suo contesto storico. Tenterò poi di indagare le ragioni del silenzio che l’ha penalizzata dopo la sua morte al punto da togliere perfino i suoi versi dalle antologie scolastiche dove prima obbligatoriamente figuravano insieme a quelli del Pascoli. Cercherò infine di mostrare perché, a mio parere, AN , poetessa agli inizi a cavallo fra Otto e Novecento, ma poi passata attraverso due guerre mondiali, poetessa che appare oggi datata in modo apparentemente irrecuperabile, si proietti invece, anche per via della sua straordinaria evoluzione stilistica nell’arco lunghissimo di 50 anni di attività, dalla prima raccolta del 1892 all’ultima uscita postuma che arriva al 1943,  si proietti, dicevo, verso la seconda metà del secolo e forse anche oltre, e abbia qualcosa di importante da dirci ancora oggi.

Quando  una giovane AN si affaccia alla scena letteraria, qual è la sua epoca? E’ l’epoca del passaggio da una società contadina a una società industriale, di un nuovo ceto operaio sfruttato e miserabile, un’epoca di lotte sociali, di un socialismo  che poi sfocerà nel fascismo. Un’epoca essenzialmente di trasformazione, di transizione, che AN , nata poverissima da una madre che lavora in fabbrica, vivrà in prima persona e di cui sarà appassionata interprete, lei prima poetessa non di estrazione borghese ma proletaria, non allevata nei salotti letterari e nelle aule universitarie ma provvista solo di un diploma di maestra, un iter che inconsapevolmente può ricordare quello di tanti scrittori americani, come lei giunti alla fama dal basso della scala sociale e dopo aver esercitato umili mestieri. AN , donna e proletaria, è una figura del tutto nuova nel nostro panorama letterario e culturale essenzialmente accademico. Una figura che potremmo  considerare romantica  nel suo socialismo umanitario appassionato. La sua poesia è nei primi anni la voce del Quarto Stato, quella dei personaggi  che riempiono la tela di Pellizza da Volpedo , un dipinto  realizzato nel 1901, trent’anni dopo la nascita di AN, e in cui figura in prima fila una giovane donna in stracci con un bambino in braccio. Nel 1901 AN  ha già pubblicato due raccolte di versi, Fatalità e Tempeste, ed  è già una poetessa famosa. Per l’impegno sociale dei suoi scritti la chiamano la Vergine rossa.

AN è un outsider in tutti i sensi.

Chi sono i suoi contemporanei? Guardiamo le date. AN nasce nel 1870 ed esordisce giovanissima nel 1892. E’ allora viva e operante la “grande triade”: Carducci, che morirà nel 1907, Pascoli, che morirà nel 1912.  Nel 1882, dieci anni prima di Fatalità, Canto novo ha rivelato il poeta per eccellenza, D’Annunzio, praticamente suo coetaneo: aveva solo 7 anni quando è nata Ada. Alle sue spalle , ancora attiva, c’è una generazione  nata nella prima metà dell’Ottocento: quella di Verga, di Fogazzaro, di Carducci appunto. Nel 1895, tre anni dopo Fatalità,  Fogazzaro ha pubblicato Piccolo mondo antico. Nell’81, quando Ada è ancora bambina, Verga pubblica I Malavoglia. Nell’87 sono uscite le Rime nuove di Carducci. Suoi coetanei sono invece, oltre a D’Annunzio, Marinetti, nato sei anni dopo di lei ad Alessandria d’Egitto, Pirandello che quando Ada nasce è un bambinetto di 3 anni, Croce, che in quel momento ne ha 4. Il più vecchio  “coetaneo” è Svevo, nato nel 1861, ha nove anni più di Ada. Nel 1898 Svevo, tre anni dopo Tempeste di AN, pubblica Senilità. L’Estetica di Croce uscirà nel 1902. Ma già si affaccia  una generazione nata negli ultimi anni del secolo, una generazione che avrà circa vent’anni all’epoca della Grande Guerra e nella quale spiccano i nomi di Saba, Ungaretti, Rebora e Montale. Nomi che  agiranno ormai nel secolo nuovo, il Novecento. Nel ’12 Rebora pubblicherà i suoi Frammenti lirici. Ungaretti pubblica Il porto sepolto nel 1916. Nel ‘21 esce il Canzoniere di Saba. Nel ‘25 usciranno Gli ossi di seppia. Più in là, nella prima metà del Novecento, fra le due guerre,  ma sempre durante la vita di Ada  e la sua attività  di scrittrice, appariranno sulla scena Pavese  (Lavorare stanca uscirà nel ’36, circa dieci anni dopo I canti dell’isola di AN) e Luzi, che comincia a pubblicare nel 30, entrambi nati nel secolo nuovo. La prima vera affermazione di un quarantenne Quasimodo con E’ subito sera avrà luogo solo nel 1942 , a completare la nuova “triade”: Ungaretti Montale Quasimodo. Questo è il contesto letterario  in cui situare AN.

In mezzo a tutti questi importantissimi nomi, Ada compie un suo autonomo cammino.

Certo si possono rintracciare nel primo tempo della sua poesia, a cui fa da spartiacque la prima guerra mondiale , influenze soprattutto di D’Annunzio e anche del Pascoli, cui lei però non volle mai inviare i suoi versi.  Diciamo che si tratta soprattutto di “un’aria del tempo” e allora AN scrive quartine di endecasillabi in rima, perfettamente regolari, stigmatizzate da alcuni critici come ridondanti e retoriche. Ma subito dopo la guerra, nel 1919,  c’è la grande svolta: Il libro di Mara, con un verso sciolto e allungato, narrativo, vicino alla prosa, e ancora più ne I canti dell’Isola, del 1924:  un verso che sembra anticipare metricamente il verso lungo e narrativo del Pavese di Lavorare stanca. Certo Ada  conosce e legge  quanto viene pubblicato, vive pienamente la vita letteraria del suo tempo, tuttavia si può dire che passi indenne  fra i vari movimenti e scuole che la costellano: dal decadentismo al futurismo, dai crepuscolari ai vociani e più tardi ai primi ermetici, termine coniato solo nel ’36 dal Flora. Vi passa senza avvicinarsi a nessuno di questi movimenti o scuole, ma conservando una sua totale autonomia. Come ebbe infatti a dire lei stessa: un poeta vero non deve  appartenere a “chiese e chiesuole”.

La poesia di Ada Negri, quindi, stilisticamente forse ha attinto al verso libero, ricco e fluviale di Walt Whitman che, nato 50 anni prima di lei, aveva rivoluzionato la poesia americana, mentre non si avverte nemmeno troppo l’influenza di D’Annunzio, l’“immaginifico”: la  poesia di AN è immediata e si direbbe spontanea, in qualche modo semplice, priva di orpelli letterari.

Ci sono certo qua e là cadenze pascoliane  (e dove non ci sono, ancora oggi, nella poesia italiana?) anche perché, come il Pascoli, anche lei è poetessa delle cose quotidiane, della natura, della campagna, di un mondo agricolo che per lei si identifica con il lodigiano. Ma AN non è simbolista, come Pascoli. Ungaretti che pubblicherà tra il ‘20 e il ‘30 alcuni dei suoi libri più famosi,  non sembra averla influenzata, e le loro strade non sembrano essersi mai incrociate. E, benché abbia conosciuto Marinetti, Ada Negri sembra legata   più al mondo che ha alle spalle che a quello che comincia ad aprirsi davanti a lei, quello delle avanguardie e poi dell’ermetismo.

La poesia di AN segue da vicino le vicende della sua vita, e ne sgorga: se la poesia della giovinezza si ispira all’ambiente in cui vive e  sviluppa temi sociali , prendendo le parti dei diseredati,  successivamente  si sviluppa una tempestosa  ( il titolo della seconda raccolta sarà appunto Tempeste) poesia d’amore,  poi in quella della maturità troveranno spazio gli affetti familiari, il tema della solitudine e della natura che si identifica soprattutto con quella panica di Capri, ma anche con la malinconica campagna lombarda, e infine, nell’ultima parte della vita,  AN approda a una poesia di intensa ispirazione religiosa. Lo stile si fa negli anni sempre più incisivo e  più spoglio acquistando una modernità  per certi aspetti quasi attuale e abbandonando per lo più la rima per un uso ripetuto dell’enjambement che dà la sensazione di un cammino difficoltoso, di un affanno. La sua diventa una meditazione sofferta sul senso della vita e del dolore   che ci coinvolge ancora oggi e a cui lei dà una risposta: L’accettazione, in una bellissima poesia con questo titolo.

AN rimase così sempre  una voce isolata , una outsider, non solo per la sua preparazione culturale, che era ufficialmente quella di una maestra elementare, e per la sua origine proletaria, ma anche per non aver mai appartenuto a nessuna parrocchia letteraria.  E mal gliene incolse, potremmo dire col senno di poi.

Veniamo infatti alle ragioni per cui, dopo la sua morte fisica , AN è stata diciamo “punita” con una morte letteraria. Correntemente si ritiene che questo sia dipeso dal suo essere stata fascista e in particolare, a sostegno di questa opinione, si fa riferimento al Premio Mussolini che ella ricevette nel 1931 e al suo essere stata accolta, nel 1940, prima ed unica donna,  nell’Accademia d’Italia, fondata da Mussolini nel 1929,  che verrà poi chiusa  nel 1944 con il crollo del fascismo. Ma è singolare come a questi due eventi venga dato grande rilievo nelle biografie di Ada Negri mentre ne viene dato molto poco, o non ne vien dato affatto,  nelle biografie di altri personaggi. Molti altri nomi famosi di quegli anni ebbero infatti il Premio Mussolini, per esempio Emilio Cecchi e  Ildebrando Pizzetti , Ardengo Soffici e addirittura Giò Ponti. Mentre fra  coloro che furono accolti nell’Accademia troviamo i nomi, tra gli altri molti,  di Bontempelli, lo stesso Cecchi,  Marinetti, Panzini, Ojetti,  Pascarella, l’architetto Piacentini,  il compositore Perosi, Repaci, il traduttore dei classici greci Ettore Romagnoli, Renato Simoni, naturalmente Gabriele D’Annunzio, lo scultore Adolfo Wildt. Insomma praticamente tutta l’intellighenzia dell’epoca. Ma perché se ne fa carico solo a AN? Perché lei sola doveva esserne penalizzata? Tra l’altro una curiosità abbastanza sorprendente: se si va oggi  su internet a leggere l’elenco degli ammessi all’Accademia, si vede che , chissà perché, esso si ferma al giugno del 1939, un anno prima  di quando vi fu ammessa Ada , la quale quindi non vi compare affatto! Ironia della sorte , oppure, espunta, censurata anche da lì?

Sono quindi assolutamente d’accordo con Davide Rondoni il quale, in un saggio che accompagna l’antologia Mia giovinezza uscita nel 1995 nella BUR, scrive: “Non bastano motivi di natura ideologica e politica per giustificare  la strana vicenda di AN  passata dalla popolarità alla censura”.  

Vorrei anch’io dare il mio contributo a vanificare  una simile versione , che mi sembra una versione di comodo. Ritengo infatti  che le ragioni di questa censura, di questa messa al bando in realtà siano ben altre.

Prima di tutto proprio il suo non far parte di nessuna parrocchia  ideologica e letteraria. Ada Negri non apparteneva  né alla cultura marxista, perché il suo era stato semplicemente un socialismo  umanitario, se vogliamo di impronta romantica, né all’area specificamente cattolica, perché l’avvicinarsi della sua poesia a un’ispirazione religiosa negli ultimi anni la denotava piuttosto con un’accezione di religiosità laica, se mi si passa l’ossimoro, anche qui molto autonoma. E per queste stesse ragioni, nella seconda metà del Novecento, dopo la tremenda cesura della seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo, AN doveva dispiacere alla cultura  più conservatrice, per il suo socialismo libertario e per essere  stata la Vergine rossa, ma ancor più alla prevalente cultura di sinistra, dichiaratamente materialista, la quale non poteva che osteggiare una poesia  che si rifaceva al trascendente. Un simile destino è toccato in seguito alla poetessa cattolica ligure Elena Bono, nata nel 1921, morta nel 2014, pubblicata con successo da Garzanti negli ‘anni 50 , ma successivamente colpita da ostracismo fino alla sua morte e tutto sommato anche oltre.

Insomma, nessuno voleva farsi carico dell’eredità poco gratificante e per nulla propagandistica di AN, perché nessuno poteva reclamarla come di sua appartenenza e quindi portare avanti il su ricordo. E Montale sapeva così bene che un poeta che non lasci eredi che si incarichino di ricordarlo e di celebrarlo è votato alla dimenticanza , che si premurò di organizzare dietro di sé alcuni mannelli di poesie inedite da far pubblicare a scaglioni con prevedibile suspense

Ma c’è qualcosa di più.  Certo  quello che è successo nella poesia italiana  nel cosiddetto secondo Novecento non poteva favorire la frequentazione della poesia di AN e la sua memoria. Il nuovo indirizzo della poesia a partire dagli anni ‘50, con lo strutturalismo e  lo sperimentalismo  della neoavanguardia, non  poteva celebrare il ricordo di una poetessa che ne I canti dell’isola aveva cantato liricamente e appassionatamente la bellezza in  una sorta di identificazione panica con la natura, ed era stata in primo luogo una poetessa dei sentimenti.  

Ma nemmeno questa, chiamiamola ideologica o  di ideologia critica – come la vogliamo chiamare? – può essere la sola ragione. Nella dimenticanza che ha colpito AN c’è qualcosa di più della dimenticanza che ha colpito per similari ragioni tanti altri poeti, per esempio il musicalissimo Alfonso Gatto, o anche Giovanna Bemporad, che molto se ne doleva, per non dire più in generale che la dimenticanza colpisce  quasi tutti i nostri poeti defunti, se si esclude una piccola manciata di nomi, che sono sempre quelli.  Mi è parso di intravvedere tuttavia  nel caso di AN un astio particolare, quasi  una volontà punitiva nella sua esclusione, al di là di quel suo pretestuoso fascismo in un‘epoca in cui tutti erano, con poche eccezione, fascisti.

Questa ragione è una ragione oscura e vergognosa, come una malattia, come quella macchia sul volto che deturpava la bellezza di una delle protagoniste indimenticabili di AN nel suo libro di racconti Le solitarie. Questa ragione è stata il grande successo di An in vita. AN ha avuto in vita un successo straordinario. Ma questo successo non le è stato decretato dai critici letterari, che per lo più l’hanno osteggiata, a cominciare dal suo coetaneo Croce. Per non parlare di Pirandello, che aveva riversato il suo disprezzo anche su Grazia Deledda, benché o forse proprio perché sua collega di Nobel. Ma anche il Russo la criticava, lo stesso Flora  aveva della grosse riserve. E Renato Serra poi! Critici uomini, si direbbe pesantemente misogeni. E di che cosa accusavano AN? Di quello di cui gli uomini hanno sempre accusato le donne: di essere una maestrina, di scrivere cosucce sentimentali. A dispetto delle  sue vaste e comprovate conoscenze e frequentazioni letterarie, anche di letterature straniere, in realtà non dovevano considerarla una vera intellettuale.

Per queste stesse ragioni, An piaceva ai suoi infiniti lettori, sottolineando così l’abisso che da sempre separa  per lo più la nostra cultura dalla sensibilità della gente. AN è stata un po’l’Alda Merini della sua epoca. Non faccio paragoni letterari, parlo del suo successo presso i lettori. Quello che AN scriveva piaceva alla gente. La gente l’amava. E lei amava gente, la gente sconosciuta, ancor più se era povera, in difficoltà, ancora più se questa persona povera e in difficoltà era una donna. AN aveva cominciato dando voce al Quarto Stato che era  di per sé incapace  di dare espressione letteraria e artistica al suo dolore, di sublimarlo e insieme alleviarlo nell’arte. AN l’ha fatto al suo posto, si è incaricata di dargli una voce. Ma poi in seguito AN ha dato voce ai sentimenti del cuore, all’amore per la natura, al bisogno di una fede, e a quello di trovare un senso superiore e pacificante alla vita. Tutto questo risuonava nel cuore della gente. Ma lei  non scriveva a banalità, sapeva scrivere. Era stata apprezzata, altro che da Mussolini,  dallo stesso Gramsci.

In questo caso il destino di AN si apparenta almeno parzialmente a quello di Esa Morante. Per lo meno la Elsa Morante de La storia.Ho ascoltato recentemente una interessante trasmissione su Radio tre in cui un critico di cui purtroppo non ho colto il nome osservava come  dopo La storia la Morante sia stata avversata da critici e letterati che non potevano perdonarle di avere avuto un vastissimo successo di pubblico con un’opera di  alto valore letterario. Un’accoppiata insopportabile per chi questo successo non ce l’ha e non può nemmeno  affermare di trovarsi davanti  a uno scrittore di serie B. E allora cala il silenzio,  ha inizio l’esclusione.  Morta AN, spariti i suoi libri e il suo pubblico, ecco arrivato il momento giusto per farle pagare quel successo. Non esiste quasi nessuna figura di poeta nell’Italia contemporanea, a differenza di altri Paesi, per esempio l’America Latina, che  sia riuscito a interpretare l’anima del popolo , o almeno  di una metà del cielo, come si dice , quella femminile, come era riuscita a fare AN. Solo appunto forse la Merini, ma  solo per quanto riguarda l’animo femminile e l’amore, senza una dimensione sociale, se non magari, seppure sottesa,  quella della diversità e del disagio psichico così presente  ai nostri giorni.

Una voce fuori dal coro, una voce di successo:  sono già due buone ragioni, coperte dal velo bugiardo di una condanna per fascismo: come se una come AN avesse potuto approvare la guerra e le leggi razziali!Lei che lavorava come volontaria negli ospedali e  lottava contro ogni ingiustizia, a difesa dei deboli!  Vittima solo di una retorica di sinistra.  

Ma anche queste due ragioni non mi paiono sufficienti alla messa al bando postuma di AN.

Per andare oltre, per approfondire il problema e magari trovargli una soluzione, dobbiamo analizzare ulteriormente la poesia di AN.

Di che  cosa parla la sua poesia? La sua poesia si regge su tre pilastri: il sociale, il femminile e il sacro. Non abbiamo ancora analizzato il femminile.

Diciamo prima di tutto che il sociale e il femminile, in AN, coincidono.  Coincidono prima di tutto idealmente nella figura di sua madre, vedova di un marito alcolizzato, dolente operaia in un lanificio. Ada Negri è stata una femminista negli anni in cui è iniziato il femminismo, il cui inizio viene ufficialmente situato nel 1897 in Inghilterra con la fondazione di una National Union, ossia cinque anni dopo che AN aveva pubblicato il suo libro di esordio Fatalità. Fu proprio il fascismo, da cui forse, ingenuamente, AN aveva sperato una maggiore dignità riconosciuta alle donne, a bloccare i tentativi delle femministe italiane, per lo più borghesi cattoliche, di ottenere il riconoscimento del diritto di voto che verrà approvato solo il 1° febbraio 1945: quasi una beffa: AN era morta tra il 10 e l’11 gennaio, 20 giorni prima,  e non lo seppe mai.

Abbiamo parlato finora di poeti, scrittori e letterati maschi, ma AN è stata una delle esponenti di spicco  di un manipolo di donne scrittrici e poetesse straordinarie e coraggiose che vorrei chiamare le Grandi Combattenti e che include i nomi di  Sibilla Aleramo, nata nel 1876,  Amalia Guglielminetti, 1881, e naturalmente Grazia Deledda, nata nel 1971, un solo anno di differenza, precedute da Matilde Serao,1856, e Annie Vivanti, nata nel 1866. E’ bene quindi situare AN  anche in un contesto non già di “letteratura al femminile” ma di donne scrittici a cavallo fra Otto e Novecento, nate sorprendentemente negli stessi anni e che spesso neppure si conobbero e si frequentarono fra loro, percorrendo ciascuna la propria strada, ma tutte  in una stessa direzione: quella di una libera espressione del loro sentire e della loro vocazione artistica,  nonostante la difficoltà di trovare uno spazio in un mondo tutto al maschile che non risparmiò loro situazioni anche pesanti di esclusione. Queste donne continuano a essere penalizzate anche oggi, tuttavia si possono considerare nonostante tutto delle vincitrici,  benché questo sia costato loro certamente molto dolore.  Benché tutte autodidatte, altro tratto che le accomuna, interessate alle tematiche umanitarie  e sociali della loro epoca, seppero affermare un’immagine  alta e forte,  nuova, di un femminile che si liberava dalle catene di una secolare sottomissione per dire la sua verità e raggiungere i traguardi più alti.  Tutte con una vita amorosa libera e spesso travagliata, spesso sole e separate come AN, ma aperte alla passione, quasi tutte che   riuscivano, attraverso le collaborazioni ai giornali, a mantenersi da sole in un’epoca in cui le donne erano economicamente soggette al marito, mai tuttavia rinunciando alla loro  intensa sensibilità femminile. Un capitolo a sé stante della letteratura italiana che andrebbe ancora approfondito.

Sono donne che aprirono a fatica un varco, uno spiraglio di luce, fecero intendere alle loro sorelle prigioniere di vite inutili e sacrificate, chiuse nelle case  fra panni e bambini, in realtà schiavizzate da un mondo tutto al maschile, fecero loro intendere che era forse possibile avere una vita libera e indipendente, mantenersi con il proprio lavoro, vivere la propria sessualità anche a prezzo di  pagare tutto questo,come toccò a AN, con  la solitudine. AN fu libera, indipendente e mai sorretta da un uomo nella sua carriera letteraria, mantenendosi oltre che con i suoi libri con il giornalismo.

Ma nemmeno questo è tutto, Nella sua poesia AN andò sempre più esprimendo il Femminile, soprattutto negli anni centrali della maturità, soprattutto ne Il libro di  Mara, che narra di una passione quasi folle,  disperata, ma vissuta con empito fino in fondo, 

Il Femminile è al centro della sua poesia . La sua è una scrittura torrenziale  che esprime il nucleo più profondo e nascosto del Femminile , quello che unisce l’erotismo alla maternità. Lo esprime senza ricorrere a metafore ma in maniera diretta e irruente, esprime non l’inconscio del Femminile ma la sua coscienza, senza miti, e non con sentimentalismo ma con una forza che  una volta si sarebbe detta maschile, addirittura  con asprezza, senza veli e anche senza falsi pudori. AN  esprime la violenza del Femminile , quella che da sempre fa paura all’uomo, e anche una tragicità del Femminile quando è conculcato, come nel mito antico di Medea, almeno come l’ha visto Christa Wolf. Esprime l’erotismo come esigenza della donna, e anche questo spaventa l’uomo.

Diciamo che chi ha messo al bando AN , dopotutto, è stato  un tribunale maschile, perché il potere anche letterario è ancora oggi maschile e in questo vorrei paragonare ancora una volta il silenzio che ha colpito AN a quello che ha colpito un’altra grandissima poetessa del Novecento, di cui mi sono a lungo occupata, Fernanda Romagnoli, la cui poesia ha espresso a sua volta un’aspirazione all’assoluto, riflettendo la condizione  di sofferenza di una donna cui una società patriarcale strappava la libertà e la gioia della vita. Perché anche per Fernanda come per AN la vera vocazione della donna, come di ogni essere umano, era la vocazione alla gioia, e questa gioia non dipende dall’uomo, ma  risiede nel riconoscimento  di sé, nella libertà di esprimersi nel mondo, non come un tredicesimo invitato ma come un invitato a tutti gli effetti; consiste nella possibilità del suo essere di fondersi con l’universo come espressa nei Canti dell’isola.  E anche questa possibile gioiosa autonomia forse non piace al mondo maschile, legato al cordone ombelicale della madre e al tempo stesso avvezzo a considerare la donna una propria appendice dai tempi della costola di Adamo.

Io credo in definitiva che  la cancellazione di AN avvenuta dopo la sua morte sia dovuta alla somma di tutte le ragioni che ho esposto, ma che il suo sia stato soprattutto un caso che vorrei definire di Femminicidio Culturale. Esiste purtroppo un femminicidio fisico  e  un più perverso femminicidio psicologico, ma esiste un ancora più perverso femminicidio culturale che pesa ancora oggi  sulla poesia femminile del passato anche recente e forse un po’ ancora su quella contemporanea.

In conclusione, detto tutto questo: esiste un’attualità di AN oggi? un motivo per leggerla e ricordarla?

Io credo di sì.     

Dirò adesso qualcosa che forse dispiacerà o irriterà alcuni:  la poesia, che si vuole un valore eterno e immortale, almeno  fino a Mallarmé e al suo colpo di dadi, almeno fino a quando dallo strutturalismo in poi è stato messo in  crisi il valore della parola e la poesia è diventata spesso solo un gioco letterario, la poesia, più ancora del romanzo, è in realtà soggetta  alle mode letterarie, e basta poco per escluderla e dimenticarla.Tuttavia quando è vera poesia, al di là delle mode, tolta la vernice del contingente e del relativo, rimane alla fine un nucleo depurato e quello sì può aspirare a una sorta di immortalità, o almeno a una permanenza, a un valore  che va oltre l’immediato e il contingente.  Penso che questo sia anche il caso di AN. 

Lei si proietta oltre il suo tempo  non solo perché raggiunse negli ultimi anni uno stile depurato ed essenziale, ma anche per lo scavo esistenziale della sua poesia, soprattutto quella degli anni più tardi. Ma anche perché , benché un suo apporto sia stato implicitamente negato da quella poesia che si definiva “della realtà” nel dopoguerra , con l’antologia di impronta marxista  di  Majorino proprio con il titolo Poesia e realtà ’45 ’75, uscita dall’editore Savelli nella collana Il pane e le rose, riprendendo  il nome dato a un famoso sciopero  – bread and roses – che ebbe luogo in Inghilterra nel 1912 proprio nell’industria tessile, la poesia di AN ci riporta oggi alla necessità di una nuova poesia in contatto con la realtà. Una poesia che dia voce a una realtà  non virtuale, che si allontani dall’intellettualismo e dai suoi giochi. E anche  a una poesia dei sentimenti, anch’essa  andata  quasi del tutto perduta.

Ma  è bene ritornare ad AN  anche perché lei con una energia tremenda ha parlato del Femminile Eroico che è un archetipo che ai giorni nostri pare anch’esso in via di estinzione. E’questa un’eredità importante che AN ha lasciato alle donne di oggi, alle scrittrici e alle poetesse di oggi e che ce la fa sentire vicina.

Donatella Bisutti

Questo libro è una felice esperienza editoriale sviluppata del Liceo Statale Gaetana Agnesi, un tempo Istituto Magistrale dove Ada Negri insegnò.

Madre Operaia  

Nel lanificio dove aspro clamore
Cupamente la vôlta ampia percote,
E fra stridenti rôte
Di mille donne sfruttasi il vigore,

Già da tre lustri ella affatica.—Lesta
Corre a la spola la sua man nervosa,
Nè l’alta e fragorosa
Voce la scote de la gran tempesta

Che le scoppia dattorno.—Ell’è sì stanca
Qualche volta; oh, sì stanca e affievolita!…
Ma la fronte patita
Spiana e rialza, con fermezza franca;

E par che dica: Avanti ancora!…—Oh, guai,
Oh, guai se inferma ella cadesse un giorno,
E al suo posto ritorno
Far non potesse, o sventurata, mai!…—

Non lo deve; nol può.—Suo figlio, il solo,
L’immenso orgoglio de la sua miseria,
Cui ne la vasta e seria
Fronte del genio essa divina il volo,

Suo figlio studia.—Ed essa all’opificio
A stilla a stilla lascierà la vita,
E affranta, rifinita,
Offrirà di sè stessa il sacrificio;

E la tremante e gelida vecchiaia
Offrirà, come un dì la giovinezza,
E salute, e dolcezza
Di riposo offrirà, santa operaia;

Mio il figlio studierà.—Temuto e grande
Lo vedrà l’avvenire; ed a la bruna
Sua testa la fortuna
D’oro e di lauro tesserà ghirlande!…
*

…. Ne la stamberga ove non giunge il sole
Studia, figlio di popolo, che porti
Scritte ne gli occhi assorti
De l’ingegno le mistiche parole,

E nei muscoli fieri e nella sana
Verde energia de le tue fibre serbi
Gli ardimenti superbi
De la indomita razza popolana.

Per aprirti la via morrà tua madre;
All’intrepido suo corpo caduto
Getta un bacio e un saluto,
E corri incontro a le nemiche squadre,

E pugna colla voce e colla penna,
D’alti orizzonti il folgorar sublime,
Nove ed eccelse cime
Addita al vecchio secol che tentenna:

E incorrotto tu sia, saldo ed onesto…
Nel vigile clamor d’un lanificio
Tua madre il sacrificio
De la sua vita consumò per questo.

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