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ROBERTO VERACINI

Una voce fuori dal coro





E’ uscita di recente una nuova edizione della raccolta poetica “Via de’ laberinti” di Roberto Veracini per le edizioni della Vita Felice.

Nella mia prefazione al libro dico, tra l’altro: “Un poeta defilato, Roberto Veracini, una voce fuori dal coro, occupa un suo posto preciso, ben individuabile nel nostro panorama poetico… La sua è una voce sottile, e quindi penetrante, come tutte le voci che attraversano il silenzio”.

Il libro ha anche una postfazione di Bernard Vanel in cui si afferma che per l’autore “la poesia è una follia necessaria per fuggire dall’incostanza umana, un dialogo col niente, un’utopia accettabile, un salvagente nel naufragio del mondo.” Roberto Veracini, che vive appartato a Volterra, luogo per eccellenza dell’anima, è probabilmente più conosciuto in Francia dove il suo libro Epifanie dell’angelo è stato tradotto nel 2006 e dove figura nella pubblicazione collettiva Figurines (Editions La passe du vent). Nel 2010 è stato anche inserito nell’importante antologia di Gallimard Le Poètes de la Méditerranée. In Italia è stato uno dei promotori del Premio letterario “Ultima frontiera” dedicato a Carlo Cassola.


Da questo libro riprendiamo una bella poesia, tipicamente “volterrana”:


Alabastrai


La mano dell’artigiano è ruvida
come una scuffina e tenera
come l’alabastro. Tocca il cielo
e gratta la terra con lo stesso
piglio, con la stessa grazia

*
Il mondo in un oggetto che cambia,
si forma. L’occhio attento
degli uomini circoscrive
lo spazio, sul banco
scuffine, lime e altri
strumenti di conoscenza

*

Un uomo dentro un grembiule
color del cielo, le nuvole
d’alabastro segnano le stagioni
che non muoiono.

*

Fra lui e la pietra
uno sguardo, un’intesa
un riguardo gentile
e mani grandi, smisurate
per capire

*

L’uomo e la materia si toccano
appena e l’animale
che nasce come ferito
è solo un altro miracolo
sfuggito al tempo
ingrato
e al suo segno antico

*

Gli alabastrai lo sanno.
La polvere bianca resta attaccata alla pelle, non si toglie mai di dosso

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Salvatore Romano

La Spoon River dei migranti

Salvatore Romano è nato a Napoli nel 1957 e risiede a Verona. Ha esordito nel 2016 con il romanzo Etrom. Ha pubblicato la silloge poetical Anima gitana (2017) e le pièce teatrali Dialogo tra un libro e una candela e ghigliottina a gogò. E’ Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Salvatore Romano mi ha mandato questa sua raccolta di poesie ispirata tragedia dei migranti, che costituiscono un esempio di intensa poesia civile

Lapide di Fatima

Nadira era tra le mie braccia.
Spaventata dalle macerie
dalle grida, del sangue
che vestiva le cose e le persone
dagli spari e dalle bestemmie

Qual è il compito di una madre?
Ho provato a proteggerla
ad allontanare i mostri che la impaurivano
ma ho fallito anche in questo.
ora giaccio a riposare, ricoperta da questa terra inzuppata di sangue.

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Gabriela Fantato

La seconda voce

Della nostra mortalità

E se ci fosse un dio

nascosto tra le cose, dentro

lo spazio che unisce e separa,

dove si legge la fine che abbraccia

il bordo nuovo di una seconda vita di legno,

di sale e lacrime e chiodi mai conficcati,

solo puntati

per certezza al tavolo che balla

e dà forma ai giorni.

E se provassi a tendere la mano,

come un vecchio marinaio dentro

il suo vento di levante,

dentro la santa pelle del mare

e quella luminosa del giorno che nascevi

quando anche morirai,

e se avessi il moto e la certezza

che inventi, quella che sa dire

la tua storia, con gli stessi volti,

ma con le pieghe nuove

da scoprire.

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Mauro Ferrari

Vedere al buio

Ulisse tornato a casa

Adesso tengo in ordine il giardino.

Quanto è complessa la continua lotta

alla malerba, amando

pochi semi selezionati!

Ogni tanto un acquazzone

o la grandine arruffa e distrugge,

e allora è un rifare tutto correndo

avanti e indietro a ridisporre

le pietre dell’orto, colmare

le pozze e ricoprire i bulbi affiorati.

E le lunghe attese,

i parti odorosi dei fiori infiniti,

l’alchemica armonia dei colori:

adesso coltivo me stesso a percepire

la giusta luce, a prevedere il tempo

e annusare la grandine

temendo l’eccesso e la penuria,

coltivando una ricchezza triste.

Come permettermi di dire Io

con tanto da dire e fare?

(Perché tutto sarà più chiaro

senza immagini e parole,

netto sullo sfondo del buio –

come un tuono secco.)

*

(E penso che se tutti

e anche me stesso

col nostro carico di gioie e orrori

non fossimo

né fossimo mai stati, tutto sarebbe

nonostante tutto identico,

un vento che viene e spazza i rami

e poi si perde

chissà dove.)

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