0

Centenario di Elena Bono

Una straordinaria attualità

.

In memoria della poetessa ligure di cui è ricorso il centenario della nascita il 29 ottobre scorso, ripubblico qui una sua poesia che figurava nel Dossier a lei dedicato, allegato al numero 1 della mia rivista Poesia e Conoscenza, intitolata Tempo di Dio, perchè mi ha colpito, a distanza di tanti anni da quando era stata scritta, la sua straordinaria attualità, che appare oggi addirittura profetica, come è spesso della grande poesia.

.

.

ELENA BONO

TEMPO DI DIO

.

Finite di piangere su di voi e sopra i morti
finite di ballare sulle tombe
non vi accorgete
che a noi è richiesto più
che ai figli di ogni altro tempo?
Ora bisogna ricreare il mondo
in ciascuno di noi
o finiremo.
Ricordarci la nostra somiglianza con Dio
e indurre Dio a ricordarla.
Ora bisogna avere tanta forza
da imporre al cuore la speranza,
amore più che umano agli umani,
volontà di vita per tutti.
Non è tempo di lutti
né di follie.
Questo è tempo di Dio.
Che aspettiamo?
Quale segno? Quale miracolo?
Eppure abbiamo visto crocifisso
in migliaia di corpi
Gesù Cristo.


da Poesie Opera Omnia ed. Le Mani 2007
per gentile concessione dell’editore

.

.

.

Ripropongo qui la copertina del Dossier che nel marzo del 2015 avevo dedicato alla figura di Elena Bono scomparsa nel febbraio del 2014 all’età di 92 anni. La poetessa ligure, anche nota autrice di teatro, era diventata un caso letterario per il suo quasi totale isolamento dopo che i suoi libri di poesia erano stati rifiutati dai maggiori editori benchè avesse esordito da Garzanti e fosse da alcuni considerata una delle voci poetiche più importanti della seconda metà del Novecento. A questo isolamento l’Autrice attribuiva motivazioni ideologiche dovute in particolare alla sua connotazione fortemente cattolica. Tuttavia Elena Bono aveva un folto gruppo di estimatori e lettori appassionati ed è probabile, oltre che auspicabile, che dopo la sua morte, come talvolta accade, il suo nome e la sua opera siano più presenti di quando lei era in vita.

.

Elena Bono con il compositore Giancarlo Menotti a Rapallo

.

Nel dossier era contentuta una sezione di Testimonianze che conteneva tre ricordi di persone che l’avevano conosciuta e avevano avuto con lei un forte legame: Viviane Ciampi, Rosa Elisa Giangoia e Elvira Landò, tutte e tre poetesse e studiose, figure rappresentative del mondo culturale genovese e non solo.

Ho pensato di ricordare oggi Elena Bono ripubblicando qui questi loro interventi:

     .

VIVIANE CIAMPI

L’AMORE PER IL TEATRO

Viviane Ciampi

Conobbi Elena Bono nel 1996 in occasione della rappresentazione teatrale di un suo dramma Flamenco Matto poi, ebbi occasione d’incontrarla molte volte nella bella casa di Chiavari dove si era ritirata in quasi ascetica dedizione alla scrittura. E del mio primo vero incontro con la romanziera-poetessa-drammaturga, vorrei far partecipe il lettore che non la conoscesse, per inquadrarne la figura e la personalità.

      Un sabato di fine giugno a Chiavari.

     Elena Bono mi aspetta per un progetto di traduzione in francese del poemetto Invito a Palazzo apparso in seguito sulla rivista canadese Estuaire e sul sito Mouvances. Poemetto che, al pari di altre sue opere – le è stato ‘dettato’ in sogno, come dettati in sogno sono i nomi orientali i quali – racconta Elena – «arrivavano di notte e talvolta mi svegliavano per la smania di essere scritti sulla pagina».

     Quella prima volta mi accoglie il marito Gian Maria Mazzini, figura importante dell’imprenditoria ligure e della cultura. Tra i suoi avi Giuseppe Mazzini. È al marito negli ultimi anni della sua vita (a causa di un ictus che colpirà Elena nel corpo ma non nella mente) detterà le sue opere poetiche e teatrali, i suoi saggi, i suoi romanzi.

     Gian Maria mi fa strada: percorro un lungo corridoio di libri e quadri antichi alle pareti, corridoio impreziosito da una fitta collezione di stampe del Seicento, da medaglieri con le onorificenze dei personaggi di spicco di casa Mazzini e in quel medagliere figura anche Elena Bono insignita dell’ordine della Commenda dall’allora presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

      Elena, che arriva poco dopo nel salotto, non ama i convenevoli e si dimostra subito interessata a ‘l’air du temps’ che si respira oggi in Francia dal punto di vista politico e culturale, alla musica che potrebbe accompagnare future sue opere teatrali «anche se da parecchio tempo ascolto soprattutto il silenzio!», agli abiti di scena che ha immaginato per tale personaggio e mi fa partecipe del suo grande amore per la cultura greco-latina – con suo padre preside di una scuola di Chiavari parlava abitualmente in latino non per sfoggio ma per reale amore di quella lingua–.

     Elena è dotata di particolare religiosità e questo traspare in tutta la sua opera pur non escludendo il dubbio da cui è stata assalita molte volte e l’intervento della ragione. Per Elio Gioanola, prefatore dell’Opera Omnia il percorso mentale della poetessa è chiaro: “Forse non c’è stata altra vita d’artista, nella nostra modernità poetica, così radicalmente offerta ad una vocazione”.

      Mi parla di come fu gioiosa – pur se sofferta – una sua traduzione di Sofocle, di quanto la traduzione sia di stimolo al nascere delle sue opere e quanto la figura del traduttore, specialmente in poesia sia poco capita non solo dai lettori ma da molti poeti non traduttori.

     E nel mentre mi prende le mani tra le sue s’interrompe, per osservare la stoffa del mio vestito, la sfiora con le dita quasi per un sussulto di levità. Ma non è frivolezza questo atteggiamento, in quanto tutto va riportato alla sua creatività, all’amore per il teatro che estendeva non solo alla sceneggiatura ma anche alla scenografia e ai costumi. Quando mi saluta mi confida in un buon francese – amava, per vezzo utilizzarlo ogni tanto così come i dialetti –: “J’ai demandé à Dieu de ne jamais écrire des bêtises!» (« Ho chiesto a Dio di non scrivere mai sciocchezze!”).  

     Una delle ultime volte che la vidi fu alla ‘Festa del Teatro di San Miniato’ (Pisa) una bella estate di qualche anno fa dove si rappresentava il suo dramma teatrale Le spade e le ferite per la regia di Ugo Gregoretti in cima alla Torre Saracena in cui convocava Pier delle Vigne (Marco Spiga),  Innocenzo IV (Eros Pagni) e Federico II (Massimo Foschi). Rivedo Elena, stanca ma felice con le scarpe basse e di raso che uscivano dalla doppia gonna.

    “Guarda quanti spettatori!” dice Gian Maria in attesa della rappresentazione. A quel punto un giornalista chiede alla drammaturga: “Chi sono i buoni e chi i cattivi?” e poi “Che cosa significa stare in bilico tra il bene e il male?”. Elena risponde scherzosa: “ Questo non lo sappiamo e neppure la scienza può dipanarlo”.

      Vederla attendere la notte toscana a testa china sul programma, è un vero privilegio. Più tardi, a notte fonda, il calore degli applausi copre un fitto tramare di rane.           

.

.

                                            ROSA ELISA GIANGOIA

                                        UN REALISMO SPIRITUALE

Rosa Elisa Giangoia

   Conoscevo da tempo la poesia di Elena Bono, di cui avevo letto alcuni libri soprattutto su indicazione della mia cara amica poetessa Margherita Faustini, ed avevo molta ammirazione nei suoi confronti, per cui, quando venne l’occasione di incontrarla, ero molto contenta, ma anche piuttosto emozionata.

   L’avevo invitata, insieme ad altri poeti genovesi (Elio Andriuoli, Aldo G.B Rossi, Margherita Faustini e forse qualche altro che ora non ricordo) alla Biblioteca Servitana,  per un recital di poesie religiose in omaggio al servita e poeta padre David Maria Turoldo.

   Elena Bono accettò volentieri l’invito e mi disse che avrebbe letto almeno una poesia sulla Madonna, perché era sua abitudine, in ogni recital, in qualunque occasione e ambiente, dedicare una poesia a Maria. Mi piacque questa sua esplicita dichiarazione, mi diede l’impressione di una persona determinata e decisa, sicura nella sua fede, un testimone, insomma.

   Poi ci furono varie altre occasioni d’incontro e si stabilì un certo dialogo, per cui capii che per lei due cose erano particolarmente importanti, la sua fede religiosa e la sua giovanile ammirazione ed adesione ideologica alla Resistenza partigiana. Mi disse infatti che a lei «giovinetta» (e si riferiva al periodo di sfollamento sull’appennino ligure), tramite il sacrificio dei suoi compagni e coetanei, la Resistenza aveva «rivelato l’eterno ripetersi della Passione redentrice di Cristo attraverso la storia e il dovere per ognuno di noi di essere presente e facitore (non semplice spettatore) nella Storia.» A questo proposito riprendo con precisione le parole dell’intervista compresa nel n. 10 di LETTERA in VERSI dell’ottobre 2004 che le ho dedicato (https://bombacarta.com/wp-content/uploads/letterainversi/letterainversi-010.pdf), anche se sono concetti che le ho sentito ripetere diverse volte.

   Capii così che per lei la Storia era molto importante, erano soprattutto molto rilevanti i comportamenti degli uomini, in particolare di quelli che avevano avuto responsabilità in eventi determinanti, in cui, schierandosi da una parte o dall’altra, avevano preso posizione, per loro, ma anche per altri, per il Bene o per il Male. Di qui era nato quel suo realismo spirituale, via d’uscita dalle ideologie, posizione imperdonabile nel milieu letterario del momento, che l’aveva portata a riflettere sulla drammatica contrapposizione nella recente coscienza europea tra tentazioni superoministiche e fedeltà alla morale, impersonata, a suo giudizio, dall’azione dei partigiani. Ma dalla sua visone di contrapposizione e necessità di scelta tra Bene e Male, con senso di responsabilità in prospettiva escatologica, erano nate anche le sue opere di narrativa e di teatro, sempre di alto livello etico, in cui l’uomo, agendo nella Storia, si trova a doversi porre di fronte all’Assoluto, pur nella consapevolezza della presenza e dell’azione della Provvidenza nella Storia.

     Capii che per Elena Bono nella Storia tutto era contemporaneo, perché immutato è lo spirito dell’uomo di fronte al Bene e al Male.

    Nel volgere di pochi anni le condizioni di salute di Elena Bono divennero quanto mai difficili e qui ci fu da parte sua, pur con quel suo corpo minuto e fragile, una grande lezione di accettazione e di pazienza, per quel suo sopportare, non tanto con rassegnazione, ma piuttosto con energia intellettuale e spirituale, tutte le limitazioni della sua condizione, tenendo sempre vigile e attento il suo mondo interiore, cosa che dimostrava la sua abitudine ed attitudine a nutrirlo, ad arricchirlo con la sua Fede, per mantenerlo forte. Si capiva, come disse ancora nell’intervista a LETTERA in VERSI, quanto fosse importante per lei il fatto di aver imparato “da Dio la misericordia non solo verso gli altri ma anche verso la nostra povera persona con tutte le sue molte miserie corporali e spirituali”. Così infatti ha guardato a se stessa e alla sua vita, anche dopo la morte dolorosa del marito, lungo le difficoltà e le sofferenze che l’esistenza le ha riservato fino alla fine. Questo perché credeva fermamente che l’uomo, nella pienezza della sua umanità, condividesse con Dio una somiglianza e perciò il senso di tutti i Valori.

   Una volta ebbi a chiederle chi poteva essere per lei un esempio di quest’uomo veramente umano, chi poteva rappresentare, a suo giudizio, una figura ideale. La sua risposta subito mi stupì, mi sorprese, perché avrei immaginato mi indicasse un grande del passato. Invece mi disse: “Bisagno”. Era questo il nome di battaglia durante la Resistenza di Aldo Gastaldi, il primo partigiano d’Italia, cattolico, morto subito dopo la Liberazione a seguito di un incidente su cui permangono molti dubbi. Poi, ripensando alla sua valorizzazione della Resistenza, capii le ragioni della sua scelta, quelle che ben chiarisce nella lirica O Bisagno, in cui tratteggia la figura di questo giovane che si è impegnato per il bene di tutti, partendo dalle idee di giustizia, libertà e fratellanza apprese dai Vangeli.

   L’adesione alla Resistenza rimase viva per Elena Bono per tutta la vita. Per lei l’8 settembre del ‘43 era stato il giorno del ridestarsi alla Storia, di fronte a cui aveva capito che non bisognava chiudere gli occhi di fronte alla realtà, ma guardarla bene dentro di sé per comprenderla e capire che cosa si dovesse fare. Infatti la poesia che mi diede per l’antologia Notte di Natale (2005) rievocava ancora un Natale di guerra, quello del ’43, appunto. Quest’attenzione alla realtà, però, per lei era anche l’atteggiamento che si doveva continuare ad avere al giorno d’oggi, dato che ormai «tutto rischia di esteriorizzarsi».

   Anche la fedeltà al culto della Madonna l’accompagnò fino alla fine. Infatti l’ultima poesia che mi diede per l’antologia Ti prego (2011) era dedicata a Maria (Ecco già la fanciulla).

   Una grande lezione di fedeltà la sua, fedeltà alla Fede capace di orientare nella vita e nella Storia.

.

                                        ELVIRA LANDÓ

                              L’ASSOLUTO NEL QUOTIDIANO

Elvira Landò

        Elena Bono, la più alta e originale voce poetica del secondo Novecento, si è spenta la sera del 26 febbraio 2014.

        Da quando il padre Francesco Bono vi era giunto quale preside del liceo Federico Delpino, nel 1931, era vissuta a Chiavari, nel quartiere più occidentale, tra il mare  e le ombre scure dei monti che vi discendono a picco: – I monti neri della mia terra…questo nero Appennino, mandria di tori neri che corre al mare e quando il tuono va di monte in monte ha fragore di zoccoli…”

        Così inizia Fanuel Nuti, il terzo volume della trilogia Uomo e Superuomo, cui Elena Bono si dedicò dal 1957, e così certamente apparve a lei bambina quello scorcio di paesaggio, tra luci d’acciaio e rupi alternate ad olivi e pini, tragicamente duro ed evocativo di drammi. Poi Chiavari le piacque e scrivere della sua storia e dei suoi segreti con sguardo attento e sensibilità senza pari fu per Lei intrapresa appassionata: in Fanuel Nuti oltre al dramma di quella lotta fratricida e al funesto scontro di civiltà, quella della morte e quella della libertà, Chiavari, il suo entroterra e i diversi personaggi vengono raffigurati con icastica seduttiva verità.

        Alla Bono staffetta partigiana dobbiamo infatti le più belle e originali pagine sulla Resistenza. E Chiavari, emblematico di mondi più vasti, restò il suo luogo reale, dove in quasi ascetica semplicità, ma attorniata sempre dalla bellezza, compose le sue opere, ininterrottamente, sino agli ultimi anni, dettandole poi quando gli occhi del corpo non l’aiutarono più, sostituiti da uno sguardo capace di scavare sino alle soglie del mistero.

        Del resto, così empaticamente ricettiva di emozioni ed esperienze, al punto di piangere  sotto il busto di Giacomo Leopardi – Giacomino come lo chiamerà sempre –  nella villa frequentata da Francesco Bono preside a Recanati quando lei era ancora di cinque, sei anni, Elena avrà sempre di Chiavari una visione più tragica che idillica, come mi raccontava quando ripensava con me le passeggiate che, bambina, faceva con il padre. Lungo i sentieri che li portavano mano nella mano verso le colline di Bacezza, Ri Alto, S. Giulia, passava fra loro il musicale mistero della parola. Ritmi arcani, che a lei suonavano forse come presagi, cifra di verità che si andavano svelando, mentre il cuore cresceva, e già evocavano gli spiriti magni, e Antigone e Cassandra, e Medea, e Catullo e Virgilio… ma anche  Adamo, e Pilato, e il centurione…e il Cristo – sofferente e amoroso… E mentre dall’alto insieme guardavano il mare pezzato di porpora e gli olivi che si piegavano al vento, le diverse favelle, greco latino italiano, erano tra loro veicolo di vita e di conoscenza. Il senso ultimo dell’esistere, l’ansia di libertà, la dignità anche dell’ultimo degli  uomini,   il coraggio e il dolore… retaggi di una civiltà che dai poeti giungeva ad Elena, vennero illuminati dal messaggio di Cristo: ma questa di Elena fu sempre una religiosità incentrata sulla conoscenza senza illusioni o falsi pudori, e sulla pietà, più vicina all’esempio evangelico e francescano che ad ogni altra corrente o esperienza  o ideologia.

Alla verità che nasce nella carne che soffre, nella coscienza che sceglie, Elena dedica tutta la sua vita, mettendo a frutto il dono della poesia che il padre le ha trasmesso: poesia che non ignora nulla del male e dell’abiezione più turpe, poesia come limpida insostituibile parola, che nella sua fedele lucidità tende incessantemente ad un oltre, ad un più pieno significato, ed è, sempre, pietà nel dolore, e libertà di fronte ad ogni abisso nullificante, come ad esempio quella religione del nulla che del nazismo è l’ultimo significato, e non è scomparsa dall’orizzonte del nostro vivere.   

Elena Bono ha proposto in forma nuovissima, raffigurando percorsi e  vissuti concreti, tematiche e propositi, protagonisti e miti del mondo classico come della più tragica contemporaneità,  portando nelle sue opere l’orizzonte culturale greco e romano, le origini della cristianità, vicende medievali, donne e dee, uomini abbietti ed eroi e il mondo fascinoso e misterioso del Tigullio: e nel rappresentare il complesso e drammatico cosmo della condizione umana, ha saputo redimerne la negatività nella misericordia, ha reso presente nel quotidiano l’Assoluto. Liriche, teatro, come anche le opere di narrativa, mettono in scena quel mondo interiore a noi tramandato nei secoli con la scrittura,  ma che Elena Bono intuisce e rappresenta nel nascere, facendolo rivivere direttamente nei protagonisti.

Ai giovani la sua scrittura può offrire la cifra per entrare negli orizzonti più diversi, dove la storia diventa storia di uomini e i sentimenti, le idee, le lotte si lasciano scoprire nella loro grandezza. E per tanto la storia può, se proposta così nel suo farsi, nella sua genesi, aiutare a dar forma ed espressione alle emozioni, ai desideri, ai progetti… e diventare contemporaneità da decifrare.

Tutto questo nella bellezza di una parola che appare semplice perché efficace, limpida e vera, che non rifugge dagli abissi orrendi del male, che non mistifica e non tradisce, non addolcisce e non inganna. E pertanto non è mai banale e sa gettare, su ogni contenuto espresso, una luce nuova e rivelatrice.

           Un solo esempio: leggiamo Morte di Adamo, una delle più drammatiche evocazioni, nelle ultime ore di Adamo, del dramma che unisce per sempre anche nel male l’uomo e Dio, l’uomo che uccide Dio perché ha avuto la libertà.

           Il racconto incentrato sul dialogo tra Dio e Adamo che si appressa alla morte prepara al sentimento della colpa e al mistero della Redenzione. Il dramma sacro che vi si celebra eterna il dolore che riecheggia nel cosmo tutto, per l’uomo che uccide il fratello e in lui uccide Dio. La vicenda va oltre il tempo, si fa attuale con la morte di ogni uomo, si consacra nel mistero della morte di Cristo. Adamo si fa responsabile del delitto di Caino, e piangerà per sempre il dramma di ognuno dei suoi figli. L’innocenza violata, il mistero del male, del dolore e in ultimo il senso della libertà assumono in questo breve scritto una dimensione potentemente universale. Non è possibile reggere a un tale strazio, se non affidandosi ad un aiuto  che trascenda le forze umane.

           Morte di Adamo si eleva a simbolo del drammatico ultimo confronto nella libertà tra l’uomo e Dio.

          Molto altro ha scritto Elena Bono, continuando nella solitudine, nella meditazione, e pure nella gioia dell’amore e delle amicizie che le tessevano attorno una rete profonda, e soprattutto ascoltando, ché una potente visione o una voce autorevole dal suo profondo Sé le dettavano quelle pagine che restano adesione intima alla realtà e movimento continuo verso l’altrove, verso il mistero.

          Mistica, certo, la sua capacità evocativa, ma insieme realistica, come nella bellissima traduzione da Sofocle di Antigone, Edipo re ed Edipo a Colono, esemplare per la semplicità, la naturalezza, la vivacità schietta e popolare del linguaggio, al punto che Pasolini ne apprezzò e ne apprese la lezione.

          Tradotta in inglese, francese, spagnolo, greco, ceco, portoghese, arabo, svedese, Elena Bono ha incontrato forse più attenti lettori all’estero che in Italia, anche se  già Emilio Cecchi, poi Stas’ Gawronsky, Elio Gioanola, Francesco De Nicola, Roberto Trovato, Giovanni Casoli, Daniele Capuano, Andrea Monda… e ancora registi e attori, come Ugo Gregoretti, Salvatore Ciulla, Daniela Ardini… le hanno riconosciuto l’autorevolezza che travalica il tempo.

0

Transgression vs Politically Correct

Paolo Caponi: Lolita è sempre attuale

Come annunciato in un precedente articolo del blog, il 7 e l’8 novembre scorso si è svolto all’Università degli Studi di Milano un Convegno sulla letteratura per ragazzi dal titolo “Transgression vs Politically Correct” , ideato e coordinato dalla professoressa Francesca Orestano della Facoltà di Anglistica.

Ci piace riprendere qui, fra i tanti interventi, quello trattato dal professor Paolo Caponi, anch’egli dell’Università degli Studi di Milano, che ha fatto riferimento a un suo libro pubblicato una decina di anni fa intitolato Bambole di carne e dedicato a un personaggio, tra infanzia e adolescenza, trasgressivo per eccellenza:Lolita, la protagonista del romanzo di tema  “pedofilo” di Nabokov, pubblicato  nel 1955 e in Italia edito da Adelphi. Perché parlare oggi di un  saggio di dieci anni fa? Perché, ha detto Caponi,  “ la sua attualità oggi rimane inalterata, in quanto l’approccio generale nei confronti della pedofilia non è cambiato”. C’è dunque un’attualità  perdurante del personaggio di Lolita. “La prospettiva del lettore di oggi è ancora la stessa. Semmai, ci sarebbero cose da aggiungere, per esempio il fenomeno  del Lolicon giapponese o altre riscritture di Lolita che ci sono state nel frattempo”. Il libro affronta anche altri “classici” del genere, come il personaggio di Baby Doll, dei quali è rimasto poco o addirittura si è perso il ricordo ed è una miniera di notizie spesso molto curiose, a cominciare da quelle riguardanti il periodo precedente, in America, all’apparizione di Lolita, in cui furoreggiava  sugli schermi  una bambina prodigio, Shirley Temple, che catalizzava una pedofilia sotterranea salvando le apparenze  e  a proposito della quale il famoso scrittore Graham Greene ebbe a scrivere che si trattava di “una depravazione macchiata di innocenza”. Aveva visto giusto ma venne trascinato in tribunale e multato per aver alzato il velo dell’ ipocrisia collettiva. Il libro di Caponi ragguaglia poi sulle vicende del romanzo di Nabokov e del suo personaggio, e poi  sul suo sfruttamento cinematografico a diverse riprese, e si sofferma  soprattutto su tre temi: quello della censura con le sue alterne e spesso contraddittorie vicende,  quello dello straordinario sfruttamento economico dell’icona Lolita (“un affare colossale per un sistema che si regge sul mercato”) e infine quello dell’ inestricabile commistione  fra arte e business, cercando di esplorare, in un capitolo intitolato Letteratura e merci, attraverso la legislazione americana e anche italiana, i rapporti e i limiti  fra diritti d’autore e autonomia dell’opera d’arte. Esempio paradigmatico un romanzo, Diario di Lo, di cui per lo più si ignora l’esistenza,  dovuto alla scomparsa scrittrice e giornalista italiana Pia Pera, che si pone come contraltare a quello di Nabokov, in quanto narra la storia non dal punto di vita dell’uomo ma da quello della ragazzina, che risulta del tutto consapevole e anche capace di gestire la sua opera di seduzione, mossa forse soprattutto dal desiderio di competere e anzi di distruggere l’odiata figura materna. La Pera si attirò così le ire del figlio di Nabokov e suo erede, che fece di tutto per  impedirle di pubblicare l’opera e poi per boicottarla accusando l’autrice  di violazione del copyright. Osserva Caponi:  “Come mostrano le imbarazzanti vicende editoriali di Diario di Lo, il confine fra questioni letterarie ed economiche può divenire alquanto labile”. Il libro riporta anche pagine di una interessante  sceneggiatura  di Lolita dovuta a Harold Pinter, che tuttavia non andò mai in porto, e cita una  parodia del personaggio del 1959, intitolata Nonita, dovuta a Umberto Eco. Questa inquietante icona trasgressiva che ha percorso tutto il Novecento e probabilmente alimentato una latente e purtroppo abbastanza diffusa pedofilia, fra ambiguità e ipocrisia, è approdata anche nel Duemila con la diffusione  in Giappone del Lolicon (parola che nasce dalla contrazione di Lolita Complex) , mentre  al contrario nel mondo arabo Lolita ha potuto diventare un emblema di liberazione (Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, ed Adelphi 2004).

Continua a leggere