Il Dossier – Camminare
Proseguiamo con la pubblicazione del Dossier CAMMINARE, iniziato con Paola Loreto, e che vedrà apporti successivi di poeti scrittori e artisti che poi speriamo di raccogliere in edizione cartacea.
Proseguiamo con la pubblicazione del Dossier CAMMINARE, iniziato con Paola Loreto, e che vedrà apporti successivi di poeti scrittori e artisti che poi speriamo di raccogliere in edizione cartacea.
Alfredo Tradigo è nato a Milano, dove si è diplomato in grafica e laureato in storia dell’arte. Ha lavorato come giornalista e critico d’arte in diverse case editrici milanesi (Rusconi, Domus, Rizzoli, San Paolo). Ha collaborato con i quotidiani Avvenire, Luoghi dell’Infinito, Osservatore Romano. Ha pubblicato Icone e Santi D’Oriente, L’Uomo della Croce, Nel Nome di Giovanni, Per Salire Bisogna Crederci, Rio Sole, e le raccolte di poesia, Il Volto Stupito delle Cose, Cercando il Cervo, L’Orto dei Semplici.
A Bernard Guillot
Il tuo cranio, camita,
le tue brache da viandante, sformate,
i talloni terrosi, le tue grosse dita…
graffiato in ogni parte dagli arbusti
nelle pozze occhiute del torrente
nei dirupi arsi
alla ricerca della fonte prima
di ogni fonte
quella
che sta di là delle montagne, sempre al di là,
nascosta,
mai trovata, eppure
che c’è dicono, esiste
e tu a rischiare la tua vita
nell’intrico arrogante dei rami
nelle chiuse forre dei boschi
fra i massi
scagliati da foschi giganti
in battaglia sui monti,
per cercare da uomo la fonte
della tua divinità ferina.
I fauni ti porteranno a spalla quando
non potrai più avanzare
abbandonato a terra giacerai
davanti al dio:
– che sia salvo –
consentendo col capo.
Allora ti ridesterai
ferito? , chiederanno i molti all’intorno
saliti in tuo soccorso con piccozze e corde
e tu : – sono tornato, dirai,
ho conosciuto la montagna
non ho trovato la fonte,
ma c’è, sono sicuro
e di nuovo ti avvincerà profondo il sonno
degli antichissimi tempi dei boschi.
Inedito
Il saggio che pubblichiamo qui è la relazione che è stata fatta al Convegno su Ada Negri, E’ Possibile Vivere Soltanto di Poesia che si è tenuto a Lodi il 15 Febbraio 2020 in occasione dell’anniversario di 150 anni dalla nascita. Il Convegno è stato coordinato dal dottor Tino Gipponi.
E’ appena uscito nella collana Oscar Moderni Baobab Mondadori un volume a cura dello studioso e poeta Pietro Sarzana, che raccoglie la più gran parte dell’opera di Ada Negri in versi e in prosa in più di 900 pagine, riportando alla luce una scrittrice dimenticata:
Il mio intervento verterà sulla poesia di AN e innanzitutto su come la poesia di AN si situi nel suo contesto storico. Tenterò poi di indagare le ragioni del silenzio che l’ha penalizzata dopo la sua morte al punto da togliere perfino i suoi versi dalle antologie scolastiche dove prima obbligatoriamente figuravano insieme a quelli del Pascoli. Cercherò infine di mostrare perché, a mio parere, AN , poetessa agli inizi a cavallo fra Otto e Novecento, ma poi passata attraverso due guerre mondiali, poetessa che appare oggi datata in modo apparentemente irrecuperabile, si proietti invece, anche per via della sua straordinaria evoluzione stilistica nell’arco lunghissimo di 50 anni di attività, dalla prima raccolta del 1892 all’ultima uscita postuma che arriva al 1943, si proietti, dicevo, verso la seconda metà del secolo e forse anche oltre, e abbia qualcosa di importante da dirci ancora oggi.
Quando una giovane AN si affaccia alla scena letteraria, qual è la sua epoca? E’ l’epoca del passaggio da una società contadina a una società industriale, di un nuovo ceto operaio sfruttato e miserabile, un’epoca di lotte sociali, di un socialismo che poi sfocerà nel fascismo. Un’epoca essenzialmente di trasformazione, di transizione, che AN , nata poverissima da una madre che lavora in fabbrica, vivrà in prima persona e di cui sarà appassionata interprete, lei prima poetessa non di estrazione borghese ma proletaria, non allevata nei salotti letterari e nelle aule universitarie ma provvista solo di un diploma di maestra, un iter che inconsapevolmente può ricordare quello di tanti scrittori americani, come lei giunti alla fama dal basso della scala sociale e dopo aver esercitato umili mestieri. AN , donna e proletaria, è una figura del tutto nuova nel nostro panorama letterario e culturale essenzialmente accademico. Una figura che potremmo considerare romantica nel suo socialismo umanitario appassionato. La sua poesia è nei primi anni la voce del Quarto Stato, quella dei personaggi che riempiono la tela di Pellizza da Volpedo , un dipinto realizzato nel 1901, trent’anni dopo la nascita di AN, e in cui figura in prima fila una giovane donna in stracci con un bambino in braccio. Nel 1901 AN ha già pubblicato due raccolte di versi, Fatalità e Tempeste, ed è già una poetessa famosa. Per l’impegno sociale dei suoi scritti la chiamano la Vergine rossa.
AN è un outsider in tutti i sensi.
Chi sono i suoi contemporanei? Guardiamo le date. AN nasce nel 1870 ed esordisce giovanissima nel 1892. E’ allora viva e operante la “grande triade”: Carducci, che morirà nel 1907, Pascoli, che morirà nel 1912. Nel 1882, dieci anni prima di Fatalità, Canto novo ha rivelato il poeta per eccellenza, D’Annunzio, praticamente suo coetaneo: aveva solo 7 anni quando è nata Ada. Alle sue spalle , ancora attiva, c’è una generazione nata nella prima metà dell’Ottocento: quella di Verga, di Fogazzaro, di Carducci appunto. Nel 1895, tre anni dopo Fatalità, Fogazzaro ha pubblicato Piccolo mondo antico. Nell’81, quando Ada è ancora bambina, Verga pubblica I Malavoglia. Nell’87 sono uscite le Rime nuove di Carducci. Suoi coetanei sono invece, oltre a D’Annunzio, Marinetti, nato sei anni dopo di lei ad Alessandria d’Egitto, Pirandello che quando Ada nasce è un bambinetto di 3 anni, Croce, che in quel momento ne ha 4. Il più vecchio “coetaneo” è Svevo, nato nel 1861, ha nove anni più di Ada. Nel 1898 Svevo, tre anni dopo Tempeste di AN, pubblica Senilità. L’Estetica di Croce uscirà nel 1902. Ma già si affaccia una generazione nata negli ultimi anni del secolo, una generazione che avrà circa vent’anni all’epoca della Grande Guerra e nella quale spiccano i nomi di Saba, Ungaretti, Rebora e Montale. Nomi che agiranno ormai nel secolo nuovo, il Novecento. Nel ’12 Rebora pubblicherà i suoi Frammenti lirici. Ungaretti pubblica Il porto sepolto nel 1916. Nel ‘21 esce il Canzoniere di Saba. Nel ‘25 usciranno Gli ossi di seppia. Più in là, nella prima metà del Novecento, fra le due guerre, ma sempre durante la vita di Ada e la sua attività di scrittrice, appariranno sulla scena Pavese (Lavorare stanca uscirà nel ’36, circa dieci anni dopo I canti dell’isola di AN) e Luzi, che comincia a pubblicare nel 30, entrambi nati nel secolo nuovo. La prima vera affermazione di un quarantenne Quasimodo con E’ subito sera avrà luogo solo nel 1942 , a completare la nuova “triade”: Ungaretti Montale Quasimodo. Questo è il contesto letterario in cui situare AN.
In mezzo a tutti questi importantissimi nomi, Ada compie un suo autonomo cammino.
Certo si possono rintracciare nel primo tempo della sua poesia, a cui fa da spartiacque la prima guerra mondiale , influenze soprattutto di D’Annunzio e anche del Pascoli, cui lei però non volle mai inviare i suoi versi. Diciamo che si tratta soprattutto di “un’aria del tempo” e allora AN scrive quartine di endecasillabi in rima, perfettamente regolari, stigmatizzate da alcuni critici come ridondanti e retoriche. Ma subito dopo la guerra, nel 1919, c’è la grande svolta: Il libro di Mara, con un verso sciolto e allungato, narrativo, vicino alla prosa, e ancora più ne I canti dell’Isola, del 1924: un verso che sembra anticipare metricamente il verso lungo e narrativo del Pavese di Lavorare stanca. Certo Ada conosce e legge quanto viene pubblicato, vive pienamente la vita letteraria del suo tempo, tuttavia si può dire che passi indenne fra i vari movimenti e scuole che la costellano: dal decadentismo al futurismo, dai crepuscolari ai vociani e più tardi ai primi ermetici, termine coniato solo nel ’36 dal Flora. Vi passa senza avvicinarsi a nessuno di questi movimenti o scuole, ma conservando una sua totale autonomia. Come ebbe infatti a dire lei stessa: un poeta vero non deve appartenere a “chiese e chiesuole”.
La poesia di Ada Negri, quindi, stilisticamente forse ha attinto al verso libero, ricco e fluviale di Walt Whitman che, nato 50 anni prima di lei, aveva rivoluzionato la poesia americana, mentre non si avverte nemmeno troppo l’influenza di D’Annunzio, l’“immaginifico”: la poesia di AN è immediata e si direbbe spontanea, in qualche modo semplice, priva di orpelli letterari.
Ci sono certo qua e là cadenze pascoliane (e dove non ci sono, ancora oggi, nella poesia italiana?) anche perché, come il Pascoli, anche lei è poetessa delle cose quotidiane, della natura, della campagna, di un mondo agricolo che per lei si identifica con il lodigiano. Ma AN non è simbolista, come Pascoli. Ungaretti che pubblicherà tra il ‘20 e il ‘30 alcuni dei suoi libri più famosi, non sembra averla influenzata, e le loro strade non sembrano essersi mai incrociate. E, benché abbia conosciuto Marinetti, Ada Negri sembra legata più al mondo che ha alle spalle che a quello che comincia ad aprirsi davanti a lei, quello delle avanguardie e poi dell’ermetismo.
La poesia di AN segue da vicino le vicende della sua vita, e ne sgorga: se la poesia della giovinezza si ispira all’ambiente in cui vive e sviluppa temi sociali , prendendo le parti dei diseredati, successivamente si sviluppa una tempestosa ( il titolo della seconda raccolta sarà appunto Tempeste) poesia d’amore, poi in quella della maturità troveranno spazio gli affetti familiari, il tema della solitudine e della natura che si identifica soprattutto con quella panica di Capri, ma anche con la malinconica campagna lombarda, e infine, nell’ultima parte della vita, AN approda a una poesia di intensa ispirazione religiosa. Lo stile si fa negli anni sempre più incisivo e più spoglio acquistando una modernità per certi aspetti quasi attuale e abbandonando per lo più la rima per un uso ripetuto dell’enjambement che dà la sensazione di un cammino difficoltoso, di un affanno. La sua diventa una meditazione sofferta sul senso della vita e del dolore che ci coinvolge ancora oggi e a cui lei dà una risposta: L’accettazione, in una bellissima poesia con questo titolo.
AN rimase così sempre una voce isolata , una outsider, non solo per la sua preparazione culturale, che era ufficialmente quella di una maestra elementare, e per la sua origine proletaria, ma anche per non aver mai appartenuto a nessuna parrocchia letteraria. E mal gliene incolse, potremmo dire col senno di poi.
Veniamo infatti alle ragioni per cui, dopo la sua morte fisica , AN è stata diciamo “punita” con una morte letteraria. Correntemente si ritiene che questo sia dipeso dal suo essere stata fascista e in particolare, a sostegno di questa opinione, si fa riferimento al Premio Mussolini che ella ricevette nel 1931 e al suo essere stata accolta, nel 1940, prima ed unica donna, nell’Accademia d’Italia, fondata da Mussolini nel 1929, che verrà poi chiusa nel 1944 con il crollo del fascismo. Ma è singolare come a questi due eventi venga dato grande rilievo nelle biografie di Ada Negri mentre ne viene dato molto poco, o non ne vien dato affatto, nelle biografie di altri personaggi. Molti altri nomi famosi di quegli anni ebbero infatti il Premio Mussolini, per esempio Emilio Cecchi e Ildebrando Pizzetti , Ardengo Soffici e addirittura Giò Ponti. Mentre fra coloro che furono accolti nell’Accademia troviamo i nomi, tra gli altri molti, di Bontempelli, lo stesso Cecchi, Marinetti, Panzini, Ojetti, Pascarella, l’architetto Piacentini, il compositore Perosi, Repaci, il traduttore dei classici greci Ettore Romagnoli, Renato Simoni, naturalmente Gabriele D’Annunzio, lo scultore Adolfo Wildt. Insomma praticamente tutta l’intellighenzia dell’epoca. Ma perché se ne fa carico solo a AN? Perché lei sola doveva esserne penalizzata? Tra l’altro una curiosità abbastanza sorprendente: se si va oggi su internet a leggere l’elenco degli ammessi all’Accademia, si vede che , chissà perché, esso si ferma al giugno del 1939, un anno prima di quando vi fu ammessa Ada , la quale quindi non vi compare affatto! Ironia della sorte , oppure, espunta, censurata anche da lì?
Sono quindi assolutamente d’accordo con Davide Rondoni il quale, in un saggio che accompagna l’antologia Mia giovinezza uscita nel 1995 nella BUR, scrive: “Non bastano motivi di natura ideologica e politica per giustificare la strana vicenda di AN passata dalla popolarità alla censura”.
Vorrei anch’io dare il mio contributo a vanificare una simile versione , che mi sembra una versione di comodo. Ritengo infatti che le ragioni di questa censura, di questa messa al bando in realtà siano ben altre.
Prima di tutto proprio il suo non far parte di nessuna parrocchia ideologica e letteraria. Ada Negri non apparteneva né alla cultura marxista, perché il suo era stato semplicemente un socialismo umanitario, se vogliamo di impronta romantica, né all’area specificamente cattolica, perché l’avvicinarsi della sua poesia a un’ispirazione religiosa negli ultimi anni la denotava piuttosto con un’accezione di religiosità laica, se mi si passa l’ossimoro, anche qui molto autonoma. E per queste stesse ragioni, nella seconda metà del Novecento, dopo la tremenda cesura della seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo, AN doveva dispiacere alla cultura più conservatrice, per il suo socialismo libertario e per essere stata la Vergine rossa, ma ancor più alla prevalente cultura di sinistra, dichiaratamente materialista, la quale non poteva che osteggiare una poesia che si rifaceva al trascendente. Un simile destino è toccato in seguito alla poetessa cattolica ligure Elena Bono, nata nel 1921, morta nel 2014, pubblicata con successo da Garzanti negli ‘anni 50 , ma successivamente colpita da ostracismo fino alla sua morte e tutto sommato anche oltre.
Insomma, nessuno voleva farsi carico dell’eredità poco gratificante e per nulla propagandistica di AN, perché nessuno poteva reclamarla come di sua appartenenza e quindi portare avanti il su ricordo. E Montale sapeva così bene che un poeta che non lasci eredi che si incarichino di ricordarlo e di celebrarlo è votato alla dimenticanza , che si premurò di organizzare dietro di sé alcuni mannelli di poesie inedite da far pubblicare a scaglioni con prevedibile suspense.
Ma c’è qualcosa di più. Certo quello che è successo nella poesia italiana nel cosiddetto secondo Novecento non poteva favorire la frequentazione della poesia di AN e la sua memoria. Il nuovo indirizzo della poesia a partire dagli anni ‘50, con lo strutturalismo e lo sperimentalismo della neoavanguardia, non poteva celebrare il ricordo di una poetessa che ne I canti dell’isola aveva cantato liricamente e appassionatamente la bellezza in una sorta di identificazione panica con la natura, ed era stata in primo luogo una poetessa dei sentimenti.
Ma nemmeno questa, chiamiamola ideologica o di ideologia critica – come la vogliamo chiamare? – può essere la sola ragione. Nella dimenticanza che ha colpito AN c’è qualcosa di più della dimenticanza che ha colpito per similari ragioni tanti altri poeti, per esempio il musicalissimo Alfonso Gatto, o anche Giovanna Bemporad, che molto se ne doleva, per non dire più in generale che la dimenticanza colpisce quasi tutti i nostri poeti defunti, se si esclude una piccola manciata di nomi, che sono sempre quelli. Mi è parso di intravvedere tuttavia nel caso di AN un astio particolare, quasi una volontà punitiva nella sua esclusione, al di là di quel suo pretestuoso fascismo in un‘epoca in cui tutti erano, con poche eccezione, fascisti.
Questa ragione è una ragione oscura e vergognosa, come una malattia, come quella macchia sul volto che deturpava la bellezza di una delle protagoniste indimenticabili di AN nel suo libro di racconti Le solitarie. Questa ragione è stata il grande successo di An in vita. AN ha avuto in vita un successo straordinario. Ma questo successo non le è stato decretato dai critici letterari, che per lo più l’hanno osteggiata, a cominciare dal suo coetaneo Croce. Per non parlare di Pirandello, che aveva riversato il suo disprezzo anche su Grazia Deledda, benché o forse proprio perché sua collega di Nobel. Ma anche il Russo la criticava, lo stesso Flora aveva della grosse riserve. E Renato Serra poi! Critici uomini, si direbbe pesantemente misogeni. E di che cosa accusavano AN? Di quello di cui gli uomini hanno sempre accusato le donne: di essere una maestrina, di scrivere cosucce sentimentali. A dispetto delle sue vaste e comprovate conoscenze e frequentazioni letterarie, anche di letterature straniere, in realtà non dovevano considerarla una vera intellettuale.
Per queste stesse ragioni, An piaceva ai suoi infiniti lettori, sottolineando così l’abisso che da sempre separa per lo più la nostra cultura dalla sensibilità della gente. AN è stata un po’l’Alda Merini della sua epoca. Non faccio paragoni letterari, parlo del suo successo presso i lettori. Quello che AN scriveva piaceva alla gente. La gente l’amava. E lei amava gente, la gente sconosciuta, ancor più se era povera, in difficoltà, ancora più se questa persona povera e in difficoltà era una donna. AN aveva cominciato dando voce al Quarto Stato che era di per sé incapace di dare espressione letteraria e artistica al suo dolore, di sublimarlo e insieme alleviarlo nell’arte. AN l’ha fatto al suo posto, si è incaricata di dargli una voce. Ma poi in seguito AN ha dato voce ai sentimenti del cuore, all’amore per la natura, al bisogno di una fede, e a quello di trovare un senso superiore e pacificante alla vita. Tutto questo risuonava nel cuore della gente. Ma lei non scriveva a banalità, sapeva scrivere. Era stata apprezzata, altro che da Mussolini, dallo stesso Gramsci.
In questo caso il destino di AN si apparenta almeno parzialmente a quello di Esa Morante. Per lo meno la Elsa Morante de La storia.Ho ascoltato recentemente una interessante trasmissione su Radio tre in cui un critico di cui purtroppo non ho colto il nome osservava come dopo La storia la Morante sia stata avversata da critici e letterati che non potevano perdonarle di avere avuto un vastissimo successo di pubblico con un’opera di alto valore letterario. Un’accoppiata insopportabile per chi questo successo non ce l’ha e non può nemmeno affermare di trovarsi davanti a uno scrittore di serie B. E allora cala il silenzio, ha inizio l’esclusione. Morta AN, spariti i suoi libri e il suo pubblico, ecco arrivato il momento giusto per farle pagare quel successo. Non esiste quasi nessuna figura di poeta nell’Italia contemporanea, a differenza di altri Paesi, per esempio l’America Latina, che sia riuscito a interpretare l’anima del popolo , o almeno di una metà del cielo, come si dice , quella femminile, come era riuscita a fare AN. Solo appunto forse la Merini, ma solo per quanto riguarda l’animo femminile e l’amore, senza una dimensione sociale, se non magari, seppure sottesa, quella della diversità e del disagio psichico così presente ai nostri giorni.
Una voce fuori dal coro, una voce di successo: sono già due buone ragioni, coperte dal velo bugiardo di una condanna per fascismo: come se una come AN avesse potuto approvare la guerra e le leggi razziali!Lei che lavorava come volontaria negli ospedali e lottava contro ogni ingiustizia, a difesa dei deboli! Vittima solo di una retorica di sinistra.
Ma anche queste due ragioni non mi paiono sufficienti alla messa al bando postuma di AN.
Per andare oltre, per approfondire il problema e magari trovargli una soluzione, dobbiamo analizzare ulteriormente la poesia di AN.
Di che cosa parla la sua poesia? La sua poesia si regge su tre pilastri: il sociale, il femminile e il sacro. Non abbiamo ancora analizzato il femminile.
Diciamo prima di tutto che il sociale e il femminile, in AN, coincidono. Coincidono prima di tutto idealmente nella figura di sua madre, vedova di un marito alcolizzato, dolente operaia in un lanificio. Ada Negri è stata una femminista negli anni in cui è iniziato il femminismo, il cui inizio viene ufficialmente situato nel 1897 in Inghilterra con la fondazione di una National Union, ossia cinque anni dopo che AN aveva pubblicato il suo libro di esordio Fatalità. Fu proprio il fascismo, da cui forse, ingenuamente, AN aveva sperato una maggiore dignità riconosciuta alle donne, a bloccare i tentativi delle femministe italiane, per lo più borghesi cattoliche, di ottenere il riconoscimento del diritto di voto che verrà approvato solo il 1° febbraio 1945: quasi una beffa: AN era morta tra il 10 e l’11 gennaio, 20 giorni prima, e non lo seppe mai.
Abbiamo parlato finora di poeti, scrittori e letterati maschi, ma AN è stata una delle esponenti di spicco di un manipolo di donne scrittrici e poetesse straordinarie e coraggiose che vorrei chiamare le Grandi Combattenti e che include i nomi di Sibilla Aleramo, nata nel 1876, Amalia Guglielminetti, 1881, e naturalmente Grazia Deledda, nata nel 1971, un solo anno di differenza, precedute da Matilde Serao,1856, e Annie Vivanti, nata nel 1866. E’ bene quindi situare AN anche in un contesto non già di “letteratura al femminile” ma di donne scrittici a cavallo fra Otto e Novecento, nate sorprendentemente negli stessi anni e che spesso neppure si conobbero e si frequentarono fra loro, percorrendo ciascuna la propria strada, ma tutte in una stessa direzione: quella di una libera espressione del loro sentire e della loro vocazione artistica, nonostante la difficoltà di trovare uno spazio in un mondo tutto al maschile che non risparmiò loro situazioni anche pesanti di esclusione. Queste donne continuano a essere penalizzate anche oggi, tuttavia si possono considerare nonostante tutto delle vincitrici, benché questo sia costato loro certamente molto dolore. Benché tutte autodidatte, altro tratto che le accomuna, interessate alle tematiche umanitarie e sociali della loro epoca, seppero affermare un’immagine alta e forte, nuova, di un femminile che si liberava dalle catene di una secolare sottomissione per dire la sua verità e raggiungere i traguardi più alti. Tutte con una vita amorosa libera e spesso travagliata, spesso sole e separate come AN, ma aperte alla passione, quasi tutte che riuscivano, attraverso le collaborazioni ai giornali, a mantenersi da sole in un’epoca in cui le donne erano economicamente soggette al marito, mai tuttavia rinunciando alla loro intensa sensibilità femminile. Un capitolo a sé stante della letteratura italiana che andrebbe ancora approfondito.
Sono donne che aprirono a fatica un varco, uno spiraglio di luce, fecero intendere alle loro sorelle prigioniere di vite inutili e sacrificate, chiuse nelle case fra panni e bambini, in realtà schiavizzate da un mondo tutto al maschile, fecero loro intendere che era forse possibile avere una vita libera e indipendente, mantenersi con il proprio lavoro, vivere la propria sessualità anche a prezzo di pagare tutto questo,come toccò a AN, con la solitudine. AN fu libera, indipendente e mai sorretta da un uomo nella sua carriera letteraria, mantenendosi oltre che con i suoi libri con il giornalismo.
Ma nemmeno questo è tutto, Nella sua poesia AN andò sempre più esprimendo il Femminile, soprattutto negli anni centrali della maturità, soprattutto ne Il libro di Mara, che narra di una passione quasi folle, disperata, ma vissuta con empito fino in fondo,
Il Femminile è al centro della sua poesia . La sua è una scrittura torrenziale che esprime il nucleo più profondo e nascosto del Femminile , quello che unisce l’erotismo alla maternità. Lo esprime senza ricorrere a metafore ma in maniera diretta e irruente, esprime non l’inconscio del Femminile ma la sua coscienza, senza miti, e non con sentimentalismo ma con una forza che una volta si sarebbe detta maschile, addirittura con asprezza, senza veli e anche senza falsi pudori. AN esprime la violenza del Femminile , quella che da sempre fa paura all’uomo, e anche una tragicità del Femminile quando è conculcato, come nel mito antico di Medea, almeno come l’ha visto Christa Wolf. Esprime l’erotismo come esigenza della donna, e anche questo spaventa l’uomo.
Diciamo che chi ha messo al bando AN , dopotutto, è stato un tribunale maschile, perché il potere anche letterario è ancora oggi maschile e in questo vorrei paragonare ancora una volta il silenzio che ha colpito AN a quello che ha colpito un’altra grandissima poetessa del Novecento, di cui mi sono a lungo occupata, Fernanda Romagnoli, la cui poesia ha espresso a sua volta un’aspirazione all’assoluto, riflettendo la condizione di sofferenza di una donna cui una società patriarcale strappava la libertà e la gioia della vita. Perché anche per Fernanda come per AN la vera vocazione della donna, come di ogni essere umano, era la vocazione alla gioia, e questa gioia non dipende dall’uomo, ma risiede nel riconoscimento di sé, nella libertà di esprimersi nel mondo, non come un tredicesimo invitato ma come un invitato a tutti gli effetti; consiste nella possibilità del suo essere di fondersi con l’universo come espressa nei Canti dell’isola. E anche questa possibile gioiosa autonomia forse non piace al mondo maschile, legato al cordone ombelicale della madre e al tempo stesso avvezzo a considerare la donna una propria appendice dai tempi della costola di Adamo.
Io credo in definitiva che la cancellazione di AN avvenuta dopo la sua morte sia dovuta alla somma di tutte le ragioni che ho esposto, ma che il suo sia stato soprattutto un caso che vorrei definire di Femminicidio Culturale. Esiste purtroppo un femminicidio fisico e un più perverso femminicidio psicologico, ma esiste un ancora più perverso femminicidio culturale che pesa ancora oggi sulla poesia femminile del passato anche recente e forse un po’ ancora su quella contemporanea.
In conclusione, detto tutto questo: esiste un’attualità di AN oggi? un motivo per leggerla e ricordarla?
Io credo di sì.
Dirò adesso qualcosa che forse dispiacerà o irriterà alcuni: la poesia, che si vuole un valore eterno e immortale, almeno fino a Mallarmé e al suo colpo di dadi, almeno fino a quando dallo strutturalismo in poi è stato messo in crisi il valore della parola e la poesia è diventata spesso solo un gioco letterario, la poesia, più ancora del romanzo, è in realtà soggetta alle mode letterarie, e basta poco per escluderla e dimenticarla.Tuttavia quando è vera poesia, al di là delle mode, tolta la vernice del contingente e del relativo, rimane alla fine un nucleo depurato e quello sì può aspirare a una sorta di immortalità, o almeno a una permanenza, a un valore che va oltre l’immediato e il contingente. Penso che questo sia anche il caso di AN.
Lei si proietta oltre il suo tempo non solo perché raggiunse negli ultimi anni uno stile depurato ed essenziale, ma anche per lo scavo esistenziale della sua poesia, soprattutto quella degli anni più tardi. Ma anche perché , benché un suo apporto sia stato implicitamente negato da quella poesia che si definiva “della realtà” nel dopoguerra , con l’antologia di impronta marxista di Majorino proprio con il titolo Poesia e realtà ’45 ’75, uscita dall’editore Savelli nella collana Il pane e le rose, riprendendo il nome dato a un famoso sciopero – bread and roses – che ebbe luogo in Inghilterra nel 1912 proprio nell’industria tessile, la poesia di AN ci riporta oggi alla necessità di una nuova poesia in contatto con la realtà. Una poesia che dia voce a una realtà non virtuale, che si allontani dall’intellettualismo e dai suoi giochi. E anche a una poesia dei sentimenti, anch’essa andata quasi del tutto perduta.
Ma è bene ritornare ad AN anche perché lei con una energia tremenda ha parlato del Femminile Eroico che è un archetipo che ai giorni nostri pare anch’esso in via di estinzione. E’questa un’eredità importante che AN ha lasciato alle donne di oggi, alle scrittrici e alle poetesse di oggi e che ce la fa sentire vicina.
Donatella Bisutti
Questo libro è una felice esperienza editoriale sviluppata del Liceo Statale Gaetana Agnesi, un tempo Istituto Magistrale dove Ada Negri insegnò.
Nel lanificio dove aspro clamore
Cupamente la vôlta ampia percote,
E fra stridenti rôte
Di mille donne sfruttasi il vigore,
Già da tre lustri ella affatica.—Lesta
Corre a la spola la sua man nervosa,
Nè l’alta e fragorosa
Voce la scote de la gran tempesta
Che le scoppia dattorno.—Ell’è sì stanca
Qualche volta; oh, sì stanca e affievolita!…
Ma la fronte patita
Spiana e rialza, con fermezza franca;
E par che dica: Avanti ancora!…—Oh, guai,
Oh, guai se inferma ella cadesse un giorno,
E al suo posto ritorno
Far non potesse, o sventurata, mai!…—
Non lo deve; nol può.—Suo figlio, il solo,
L’immenso orgoglio de la sua miseria,
Cui ne la vasta e seria
Fronte del genio essa divina il volo,
Suo figlio studia.—Ed essa all’opificio
A stilla a stilla lascierà la vita,
E affranta, rifinita,
Offrirà di sè stessa il sacrificio;
E la tremante e gelida vecchiaia
Offrirà, come un dì la giovinezza,
E salute, e dolcezza
Di riposo offrirà, santa operaia;
Mio il figlio studierà.—Temuto e grande
Lo vedrà l’avvenire; ed a la bruna
Sua testa la fortuna
D’oro e di lauro tesserà ghirlande!…
*
…. Ne la stamberga ove non giunge il sole
Studia, figlio di popolo, che porti
Scritte ne gli occhi assorti
De l’ingegno le mistiche parole,
E nei muscoli fieri e nella sana
Verde energia de le tue fibre serbi
Gli ardimenti superbi
De la indomita razza popolana.
Per aprirti la via morrà tua madre;
All’intrepido suo corpo caduto
Getta un bacio e un saluto,
E corri incontro a le nemiche squadre,
E pugna colla voce e colla penna,
D’alti orizzonti il folgorar sublime,
Nove ed eccelse cime
Addita al vecchio secol che tentenna:
E incorrotto tu sia, saldo ed onesto…
Nel vigile clamor d’un lanificio
Tua madre il sacrificio
De la sua vita consumò per questo.
Prospettive incrociate
la poesia
nella svizzera italiana:
dialoghi e letture
a cura di Martina Della Casa e Clémence Bauer
Società Editrice Fiorentina, Firenze 2019 pp.175 s.i.p.
Saggista, poeta e narratore, Paolo Valesio è Giuseppe Ungaretti Professor Emeritus in Italian Literature dell’Università di Columbia a New York, dove ha concluso la sua carriera accademica dopo gli insegnamenti a New York University e a Yale University; dal 2013 è Presidente del Centro Studi Sara Valesio – CSSV a Bologna (www.centrostudisaravalesio.com). A Yale, Valesio ha fondato e diretto lo “Yale Poetry Group”, riunione bisettimanale di discussioni e letture poetiche (1993-2003). Ha inoltre fondato e diretto la rivista “Yale Italian Poetry – YIP” (1997-2005), che dal 2006 a Columbia è divenuta “Italian Poetry Review – IPR” e che opera fra New York, Firenze e Bologna. Dirige la collana di teatro “Persona” per puntoacapo Editrice. Collabora al quotidiano online “ilSussidiario.net” e tiene un blog di critica e letteratura. Ha scritto saggi e libri di critica, curato e co-curato testi letterari. È autore di tre romanzi, di una raccolta di racconti, di una novella e di un poema drammatico in nove scene. In particolare, Paolo Valesio ha pubblicato 21 raccolte di poesie. Fra le più recenti: La mezzanotte di Spoleto (2013); seconda edizione riveduta e corretta (2018); pubblicata in versione inglese: Midnight in Spoleto / La Mezzanotte di Spoleto (con testo originale italiano e traduzione di Todd Portnowitz) (2017) e in francese: Le minuit de Spolète / La mezzanotte di Spoleto (con testo originale italiano e traduzione di Martina Della Casa e Michel Delville); l’antologia bilingue Il servo rosso / The Red Servant (2016), curata da Graziella Sidoli e tradotta da Graziella Sidoli e Michael Palma; e Esploratrici Solitarie (2018).
Laura Cantelmo si è confrontata con la famosa Medea di Euripide per darci una sua interpretazione, in parte ispirata a quella di Christa Wolf, che abbiamo il piacere di pubblicare qui assieme al testo greco.
Salvatore Romano è nato a Napoli nel 1957 e risiede a Verona. Ha esordito nel 2016 con il romanzo Etrom. Ha pubblicato la silloge poetical Anima gitana (2017) e le pièce teatrali Dialogo tra un libro e una candela e ghigliottina a gogò. E’ Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana
Salvatore Romano mi ha mandato questa sua raccolta di poesie ispirata tragedia dei migranti, che costituiscono un esempio di intensa poesia civile
Lapide di Fatima
Nadira era tra le mie braccia.
Spaventata dalle macerie
dalle grida, del sangue
che vestiva le cose e le persone
dagli spari e dalle bestemmie
Qual è il compito di una madre?
Ho provato a proteggerla
ad allontanare i mostri che la impaurivano
ma ho fallito anche in questo.
ora giaccio a riposare, ricoperta da questa terra inzuppata di sangue.
Anche quest’anno, a natale, ho ricevuto una placchette in edizione non venale che le figlie di Gina Lagorio, Simonetta e Silvia, mandano agli amici in ricordo della loro Mamma. Ricordo di cui io sono loro sempre molto grata, ricordando la mia amicizia con la scrittrice e in particolare quando “la Gina” veniva a casa mia, già malata, accompagnata dalle figlie, per partecipare alle riunioni dell’Asocazione Aria Protetta, da me fondata assieme ad Angelo Gaccione, per cercare – inutilmente – di fare causa al comune di Milano per i danni alla salute dovuti all’inquinamento. Impresa, come si vede, fallimentare a cui avevano anche partecipato alcuni nomi importanti della Cultura. Avevamo unito le forze allora anche con Dario Fò, oltre all’Associazione delle mamme che vedevano numerosi casi di asma fra i loro bambini.
Mi piace pubblicare qualche pagina di questo delizioso racconto di Gina Lagorio che parla della zucca e ne fa le lodi, ma ne approfitto, come ho già detto a Silvia e Simonetta, per smentirla: Non e vero che i poeti non lodano mai le zucche. Io personalmente ho scritto sulla zucca una poesia zen, nella quale a zucca simboleggia un cammino di umiltà nella spiritualità. E che qui anche voglio ricordare.
d.b.