Maria Rosa Panté
Il volo delle api e la Matematica
Maria Rosa Panté è una poetessa appartata e dai più probabilmente ignorata . Sono felice di presentarla qui perché ha doti fra quelle che io più apprezzo: amore per la Natura, capacità di silenzio e di solitudine, sapienza di uno sguardo che conosce ancora la meraviglia, una purezza e un’intensità spirituale oggi rara da trovare. Ma questo ci allarga il cuore e ci fa sperare. Vorrei che ci fossero più persone a leggere le sue belle poesie. Vorrei che fosse più conosciuta anche se so che lei non ci tiene, non è per niente narcisista, troppo occupata com’è a vivere in consonanza con lo splendore che ancora possiamo scoprire nel mondo e ad aiutare gli altri. E io la ringrazio di esserci, di avere questa sua straordinaria forza interiore.
Ma anche di coniugare poesia e scienza, tema più che mai attuale oggi e che meriterebbe di essere indagato e sviluppato con attenzione , per cui io stessa ho sempre avuto interesse e che ho affrontato anch’io, a mio modo, nel saggio dedicato all’astrofisica nella poesia di Giampiero Neri, pubblicato in questo stesso blog.
Maria Rosa Panté, vive a Borgosesia, è docente bibliotecaria in una scuola superiore. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’amplesso retorico. Voci femminili dal mito, Gatti di-versi e nel 2019 Orto-grafia.
Ha pubblicato anche libri di narrativa e saggi, in particolare “La scienza delle donne” (Hoepli) selle matematiche. Collabora ai siti www.personaedanno.it, www.griseldaonline.it.
Collabora alla scrittura degli spettacoli di Lucilla Giagnoni: Big Bang, 2009; Apocalisse, 2011; Ecce Homo, 2013, Furiosa Mente 2016, Magnificat 2019.
Ha scritto per la rassegna Teatro e scienza: La strega Agnesi, Premio Città di Trieste, 2008, Casorati arte e scienza, con Lucilla Giagnoni, infine La passione dei numeri: Emmy e Sofja con Sara Urban. È presidente dell’Associazione FAST, Facciamole Studiare: due fragilità fanno una forza, che ha lo scopo di far studiare ragazze in difficoltà, ospitandole in case di persone anziane e sole. Soprattutto è animalista e antispecista.
POESIA SULLA MIA ANIMA
I
Al sole, controluce i pomodori
sono acqua: trasparenti e illuminati
come lampade di carta sottile
e rossa. Invece sono pomodori
la loro non è luce di crepuscolo,
è di sole, deglutiscono l’ultimo
raggio per me che li colgo. Quel sole
fluisce caldo nelle mie mani.
Le mani pomodoro.
II
Corro nel giardino fra i faggi e i roveri
di notte e nel silenzio
io sento il respirare delle foglie
e persino il fremere potente
delle radici sotto i miei piedi.
III
Ora soltanto la terra dell’orto
mi tiene in vita. Soltanto la terra
mi fa essere reale e non parvenza
come davvero io sono.
Solo gli alberi, nella brezza, e i gatti,
che mi traversano la via, mi tengono
in questo universo. Mentre io già
in un altro mondo e forma mi vedo.
IL PRATO
Tutto è nel prato come nel cervello.
(O come in Paradiso.)
Tutto è nel prato in perfetto disordine,
in perpetuo movimento. Nel prato
c’è la vita che è sottile. La vita
è filo, tela, tessuto. Tirare
le fila fra l’erba. Qui morte e vita
convivono: nel prato e nel cervello.
Dall’erba secca nascono le foglie
di verde tenero. Immergo le mani
nel prato come a cercare i pensieri,
il bandolo dell’anima,
il filo che cammina sottoterra,
a filo d’erba. Nel prato c’è tutto e
tutto è sottile, tutto
è un filo che ci lega, che si lega,
che si sdipana, che collega, che tiene.
Nel prato c’è un filo che cerco come
fosse un’idea, un verso.
Nel prato c’è un verso che forse spero
di non trovare. Poesia è cercare!
RITORNA DI STAGIONE
Se penso al tempo delle erbe che crescono
e ricrescono nel prato e persino
in mezzo al selciato, e a quel loro moto
circolare mi pare che morire
sia dormire e poi tornare, sfaldarsi
e riapparire. Così strappo le erbe
dal selciato le getto
ma nel prato, per farle rinverdire
per continuare il nostro
tempo circolare quando ritorna
la stagione che deve ritornare.
QUASI COMPLEANNO
Senza preavviso
Senza preavviso accade
che l’anima come un lenzuolo nuovo
di pulito si dispieghi e volteggi
in un sollievo candido.
Inspiegabile. Impalpabile
VENTO DI MARZO
Ora il vento si crede
un mare in tempesta. Di notte i rami
si muovono davvero come onde. Onde
si crede il vento e risuona di nero
turbine, nero e pece. Il vento romba
e procella, mi viene il mal di mare,
mi viene il mal di vento
barcollo sulla tolda della nave.
Il vento è un mare onde di suono tuona
fra i rami i prati, i tetti,
fra le lamiere dei capannoni.
Ora il vento si crede
un mare e fa tempesta
e frusciano le foglie inaridite
dell’inverno e dell’arsura e chissà
gli uccelli dove riparano i loro
canti, abbaia invece il cane turbato
da questo evento inusitato: il vento
che fa il mare ma il cane che ne sa?
Forse l’ha sentito evocare il mare
il mare il mare. Il vento il vento il vento.
Un mondo, primavera, da creare.
VOLARE
La mia anima immortale
per sostanza di energia, materia
immateriale, casuale. Immortale
senza religiose complicazioni,
al limite divine.
La mia anima immortale e spirituale
il mio corpo geniale e corporale,
il mio corpo evanescente, il mio corpo
quasi irreale, la mia anima reale.
La mia anima del prato,
la mia anima del cielo, nello scorrere
del tempo cellulare.
Dissolta, la mia anima universale.
IL NATALE DELLE API
È un esagono il natale delle api.
Senza stella, ma una madre. Regina.
Rallentare, stare calde nell’arnia
senza bue o asinello,
senza i cori degli angeli.
Dormono e certo sognano ampi voli,
forsennati e fiori di primavera.
Sognano l’aria pura e terra fertile,
sognano il nettare, il miele, la cera.
Sognano le api a natale e nel sonno
piano sbattono le ali:
si sognano volare.
Abbiamo rivolto alcune domande all’Autrice
Le tue poesie parlano della Natura
Sì, le mie ultime poesie nascono dalla terra, o meglio dall’orto che coltivo da pochi anni, che mi ha fatto innamorare. E infatti nascono dalle passeggiate nei boschi e dai momenti in cui sto a strappare erba (il meno possibile) e a zappare o quando ho avuto la gioia di seminare e poi di raccogliere.
Dedico dunque le mie poesie ai semi, io vivo nei semi, e a ogni particolare vivente di un prato, di un bosco, di un orto. Solo in questi luoghi mi sento reale, altrove sono estranea, quasi un’aliena. Il mondo umano un po’ mi infastidisce e mi preoccupa, non è un bel sentimento, ma per ora è così, per cui scrivo di altro, natura, animali, aria, cielo e di quello che è impalpabile. Scrivo dell’uno che noi siamo e della diversità che dovrebbe unirci invece di dividerci. Scrivo rarefatta, sottile, cose piccole, filamenti come il DNA, spirali, come quelle da cui nascono le corolle. Scrivo di ronzii in un mondo rumoroso e di canti di uccelli.
Scrivo quasi mio malgrado e vorrei ormai non imparare lingue nuove, ma canti di uccelli e numeri, formule matematiche le forme più astratte che mi vengano in mente. Mi interessano le cose sottili, come forse potrebbe essere l’anima, come è la poesia e il poeta. Cose sottili che potrebbero sopravvivere o forse no, ma non importa. Mi interessa quello che tutti dovrebbero avere, animali e piante e ogni cosa nell’universo. Un po’ di felicità.
Due altre tue passioni sono il teatro e la matematica. Che mi pare tu abbia coniugato insieme.
Uno sviluppo inatteso della mia vita mi ha portato al teatro e curiosamente insieme alla matematica e alla scienza. Della matematica fatta al Liceo Classico ricordo due argomenti: le geometrie non euclidee e il sistema binario. Due cose assolutamente non da programma, ma che aprivano orizzonti inattesi e infatti ho iniziato a scrivere
per il teatro grazie a una matematica Maria Gaetana Agnesi, la grande matematica milanese, per un progetto di Maria Rosa Menzio, matematica e drammaturga direttrice del festival Teatro e Scienza di Torino.
Pensavo che la mia carriera fosse finita così, invece ho conosciuto una persona specialissima, con cui condivido pensieri ed emozioni da almeno 10 anni ormai, una grande attrice Lucilla Giagnoni, nel suo teatro, cui io collaboro, affronta linguaggi disparati, su temi che riguardano l’universo, l’uomo, la spiritualità, una ricerca vastissima. Soprattutto lavorare con lei allo spettacolo Big Bang mi ha portato a vedere il mondo attraverso l’infinitamente piccolo, la meccanica quantistica. Per me è stata una folgorazione, un amore a prima vista: quello era il mio mondo, il principio di indeterminazione. Onda e particella, un mondo fatto di vuoto ed energia…
Da allora la scienza mi accompagna e nella mia ricerca di rarefazione, di essenziale, attraverso la poesia sono approdata proprio ai numeri, ai simboli. E da qui allo studio di donne matematiche e ne è uscito un saggio edito dalla Hoepli La scienza delle donne, da questo poi ho tratto un testo teatrale su tre matematiche in particolare: Emmy Noether, Sofja Kovaleskaja e Sophie Germain, dal titolo La passione del numeri.
Mi sono avvicinata alla matematica forse anche perché mio marito è un informatico e insegnante di matematica ed è colui che mi ha convinta a scrivere poesie, dopo che avevo smesso di farlo.
Scrivo versi e scrivo di matematica per arrivare al linguaggio del filo d’erba. Sembra una cosa un po’ stupida, ma è così. Nemmeno il linguaggio delle stelle mi appassiona come il filo d’erba o il movimento della coda del mio gatto (e di ogni gatto e animale).
Però, nonostante la tua tendenza all’isolamento, hai sviluppato in questi anni anche un forte impegno sociale
Certo. Non mi sono ritirata in un eremo: nessuna poetessa, nessuna matematica, nessuna donna può permettersi (e forse vuole) di uscire dal mondo,anzi mi pare che noi donne siamo fatte per la cura e per essere fra noi legate, per tessere una rete. Da questa esigenza è nata un’associazione, che ho fondato con l’aiuto di una amica, una rifugiata politica della Costa d’Avorio, Melahi, l’associazione si chiama FAST Facciamole Studiare. L’idea è di fare di due fragilità una forza: far studiare ragazze con problemi (straniere e italiane) ospitandole in casa di persone magari anziane e magari un po’ sole.
Solo le ragazze potranno cambiare, forse, questo mondo, perché vogliono liberarsi e cominciare a contare, perché saranno madri, e saranno tessitrici di reti.
dall’Introduzione a La scienza delle donne
Chissà perché quando mi è stato chiesto di scrivere di donne e scienza fra le molte possibilità ho scelto le matematiche.
Forse perché avevo già scritto un monologo teatrale su Maria Gaetana Agnesi e quindi mi ero accostata “da dentro” al mondo di una matematica e poi perché… i motivi sono vari.
Quando si parla di scienza, l’immaginario collettivo difficilmente colloca la donna in ambito di puro pensiero, di speculazione, piuttosto la vede nella scienza applicata e preferibilmente in ambito inerente la cura: medicina, chimica, biologia, psicologia.
Io, scegliendo proprio l’ambito della matematica, il più astratto del pensiero umano, vorrei sfatare il mito (che ha condizionato anche me) secondo cui il cervello femminile non è matematico, anzi la matematica fa paura soprattutto alle donne.
Infatti ho trovato nella storia di questa disciplina non poche donne e la cosa un po’ mi ha stupito, ma in realtà la matematica ha dei punti a favore delle donne.
Uno di questi punti è che la donna matematico non ha bisogno di laboratori o altro, ma solo della sua mente.
E poi non deve uscire di casa, non ci si deve “fidare” dei suoi calcoli (come per esempio per un ingegnere e forse anche per questo gli ingegneri donne sono pochi e di recente acquisizione)
Infine, poiché io scrivo poesie, ho scoperto che la matematica è anche potente intuizione e dunque è poesia, in un certo senso (ben diverso dall’intercalare del preside descritto da Domenico Starnone, un insegnante di matematica che, per criticare le idee del collega di italiano, dice sempre “non faccia poesia”), la matematica insomma è una sorta di chiamata cui non si può resistere, anche se si è donne. Non si sceglie, ma si vive.
Nei tuoi manoscritti, cara Maria Rosa, si palpa l’essenza della vita agreste; alcuni passaggi trasmettono la serenità d’animo dell’ambiente poetico vissuto. Sa tanto di ricerca istintiva al fine di godere del piacere della bellezza nelle molteplici peculiarità che solo chi sa cogliere apprezza. Ad maiora.