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La Poesia Italiana all’Estero

a cura di Donatella Bisutti









Salvatore Violante
Enchanted Anguish
trad. di Lina Sanniti e Michael Palma
Gradiva Publications, New York 2017, pp. 75 $ 20,00





Ricupero con alquanto ritardo, di cui mi scuso, una raccolta poetica di Salvatore Violante, uscita tempo fa negli Stati Uniti,  per i tipi di Gradiva, ad opera di una coppia di traduttori, l’italiana Lina Sanniti e lo statunitense, ben noto a questa rubrica per la sua attività di traduzione, Michael Palma. 

Salvatore Violante è nato a Boscotrecase, nome che già di per sé avrebbe disposto qualcuno come Palazzeschi a intraprendere la carriera poetica, ma che conta, a differenza di Riobo, circa diecimila abitanti, fa parte del parco nazionale del Vesuvio e si affaccia con una splendida vista sul golfo di Napoli. Nato nel 1943, anno storicamente cruciale,  Violante è stato politicamente attivo  negli anni Sessanta e  ancor più negli anni Settanta, soprattutto in campo sindacale, e ha cominciato ad apparire sulla scena letteraria solo a partire dagli anni Ottanta cioè dopo i quarant’anni, o meglio diciamo che solo allora è venuta allo scoperto una sua attività  di poeta clandestino che certo  aveva ben più lontane radici. Ma da quel momento la sua produzione è stata piuttosto intensa, infittendosi negli anni duemila, e annoverando diverse raccolte poetiche: da Moti e Terremoti, del 1984, a Punto e a capo, 2007, Sulle tracce dell’uomo,2009, La meccanica delle pietre nere, 2013, fino all’ antologia Itinerari di versi diversi, che comprende poesie dal 1970 al 2014. Ma oltre che in quanto poeta Salvatore Violante ha pubblicato anche come critico e saggista in numerose antologie e ha svolto un’attività di traduttore, volgendo in italiano Pour une île à venir, lungo poema di Benoît Conort , poeta e critico letterario francese, che fa parte del comitato editoriale della rivista New Series e insegna all’Università di Parigi ( Per un’isola futura, 2015). Ancora oggi Salvatore Violante vive vicino a Napoli, a Terzigno, altra piccola località di meno di ventimila abitanti, confinante peraltro con il comune di Boscotrecase. Una sua foto campeggia a tutta pagina ad apertura del volume, una faccia intensa e bonaria, ma molto attenta ad osservare il mondo, dietro gli occhiali, i baffi a frangia spiovente e il berrettino spiritoso, a quadretti minuscoli, messo appena un po’ di traverso, il collo della camicia, anch’essa a quadretti, che esce da un maglioncino scuro, che ha l’aria di essere fatto a mano: un ritratto di napolinità  stile De Filippo, vista anche l’età del poeta che non è molto lontana dagli ottant’anni. Ma anche una faccia, a osservare meglio, dolente, che sembra guardare nel fondo delle cose. Se un volto di poeta può rispecchiare la sua poesia, questo è senz’altro vero per Salvatore Violante, approdato a New York dal suo piccolo Boscotrecase, un lungo percorso, ma giocando sempre in casa. Eppure, come rileva in una nota introduttiva Wanda Marasco, questo “luogo geografico, mercato dall’estetica del sole e dell’azzurro,  diventa più vasto e metafisico di quello che si può credere”. Anche perché, essa aggiunge, è marcato “dalle forme del male”. Come rileva per parte sua Marcello Carlino, cui si deve un’altra nota introduttiva al libro, “l’Autore si vuole…popolare” e cioè, specifica meglio, “legato a un vissuto collettivo”. Non a caso mi è venuto di associare la sua fisionomia a De Filippo, al suo teatro di amara denuncia morale e sociale: come De Filippo è riuscito a ritrarre i dolori, le passioni, le bassezze e le vigliaccherie dell’animo umano, così Salvatore Violante, cito ancora Carlino, esprime in queste poesie, apparentemente d’occasione,  “la rabbia, l’indignazione, l’angoscia per il nostro universo defedato, fatto deserto, orrendo e per un umano consorzio slabbrato, inacidito”. A distanza di mezzo secolo da De Filippo, che pure visse il periodo tragico del fascismo e della seconda guerra mondiale, Salvatore Violante si trova tuttavia a vivere un’esperienza , in qualche modo, ancora peggiore: quella della mancanza di speranza che appena il nostro mondo di oggi, in cui si scorge, dice Carlino, interpretando il pensiero e il sentire del poeta, “l’ombra, prossima a farsi buio, dell’inferno che ci attornia, che ci agguanta e che sembra senza riscatto” e per ritrovare “l’incanto” come il poeta dobbiamo “rifarci alla memoria ‘di un paesaggio mattutino’”. Al canto di protesta di Violante fa dunque da controcanto in queste pagine  “il nitore di immagini, sogni popolati di presenze femminili, le figurine da incanto delle antiche ballate…come nella poesia popolare che passava di bocca in bocca e ritmava il tempo dei giorni”. Questi due aspetti della poesia di Salvatore Violante sono efficacemente condensati nell’ossimoro del titolo, il quale colpisce il lettore con una certa violenza già dalla copertina, nella quale si rappresenta un pianeta Terra che sembra una luna affondata nel cosmo, sospesa sopra un’arida e inospitale distesa che è invece quella della superficie lunare: si tratta infatti di un’immagine ripresa dall’Apollo 8 il 2 dicembre 1968, durante la sua orbita intorno alla luna. Un’immagine di straniamento, un’immagine, anche, che sembra voler prendere le distanze dal nostro pianeta  e guardare oltre, verso un incerto futuro. Questa è l’interpretazione che dà di questa poesia, nella sua nota, Wanda Marasco che nei versi di Violante  vede “Terra, mare  e uomo farsi “ e la parola poetica diventare “laboratorio” per contrastare  “l’iniquità, l’orrore, l’esclusione”. Ma tutto questo in una “simultaneità tra bellezza e schiavitù, orrore e libertà”. La Marasco scrive in proposito di un “pendolo dell’angoscia” e anche di “un’inchiesta sull’infelicità” che si serve di paesaggi e di presenze umane “in bilico tra la solitudine e l’esodo” “nello sterminio  generato dalla mancanza  di umanesimo e di equità”. Per concludere la nota, da cui emana un’intensa empatia nei confronti dei testi, affermando che  “distorsione ed ironia elettrica sono sparsi  per l’intera silloge e agglutinano una immensa tristezza… ma si tratta del messaggio di una battaglia”.


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