La poesia italiana all’estero
A cura di Donatella Bisutti
How the Trojan War Ended I Don’t Remember
Anthology of Italian Poets in the Twenty- First Centuy
a cura di Giorgio Linguaglossa
traduzione di Steven Grieco-Rathgeb
prefazione di John Taylor
Chelsea Editions, New York 2019
pp. 342 $ 20
Questa corposa antologia curata da Giorgio Linguaglossa, uscita nelle edizioni Chelsea di New York , è la traduzione dell’antologia italiana, da lui curata e pubblicata nel 2016 da Progetto Cultura con il titolo Poesia Italiana Contemporanea. Come è finita la guerra di Troia non ricordo, poi presentata alla fiera del libro di Milano, Tempo di Libri, nel 2017. Le traduzioni portano la firma di un poeta raffinato, presente anch’egli nell’antologia, Steven Grieco-Rathgeb, cui se ne sono aggiunte alcune altre ad opera di Barbara Carle, Annamaria Crowe Serrano, Riccardo Duranti e Mark Sean. Il volume riunisce un gruppo di 14 poeti anche assai diversi, ma che da tempo sono vicini a Linguaglossa e condividono una sua visione della poesia che si propone come una nuova poetica. Li citerò qui in ordine alfabetico, come appaiono: Chiara Catapano, Mario Gabriele, Donatella Costantina Giancaspero, Steven Grieco-Rathgeb, Letizia Leone, lo stesso Giorgio Linguaglossa, Renato Minore, Gino Rago, Antonio Sagredo, Giuseppe Talia, Lucio Mayoor Tosi, Anna Ventura, Antonella Zagaroli, cui si aggiunge, per affinità riconosciuta, un poeta outsider più volte recensito in queste pagine, Alfredo De Palchi. Questa antologia è nata infatti con l’intento di fare tabula rasa tanto della cosiddetta poesia minimalista quanto dei residui dello sperimentalismo storico, ma anche della poesia dell’io lirico, della poesia realistica, confessionale, o di quella di contenuto sociale è civile. Essa si pone provocatoriamente nell’area del postmoderno privilegiando un enigmatico frammentario sospeso nel tempo, in quanto fa la spola fra un lontano passato, riferito per lo più alla classicità, esemplarmente nelle poesie dello stesso Linguaglossa che mettono in scena l’antica Roma, e un presente anche tecnologico, come nella danza di pixel di Renato Minore. Si prefigge di colmare un vuoto, opponendosi a quella che Linguaglossa chiama “la grande crisi della poesia contemporanea” e proponendo una visione del mondo né metafisica né nichilista, ma aperta a interrogativi senza risposte, attraverso la suggestione di un susseguirsi di immagini, un puzzle lussureggiante, una sorta di mondo virtuale ricostruito per frammenti. Da anni Linguaglossa non risparmia sul suo blog, peraltro molto seguito, critiche spesso taglienti alla poesia italiana contemporanea, nella quale, ha affermato, “il nuovo rifluisce tranquillamente nell’antico”, impedendo un vero rinnovamento. Contro quello che egli definisce il “paradigma della conservazione” della poesia italiana del Novecento, e che a suo parere ne fa “un palcoscenico vuoto”, questa antologia, ora disponibile anche per il lettore di lingua inglese, si pone come una sorta di manifesto. Si potrebbe parlare, in questo caso, di un nuovo sperimentalismo, non più linguistico, ma mentale, con la creazione di una “molteplicità di mondi possibili”. Un nuovo sperimentalismo che conserva tracce di tutte le più importanti esperienze del Novecento, soprattutto il surrealismo e l’espressionismo, che in qualche modo esso fonde e fa interagire fra loro. I poeti qui inclusi prediligono in genere una rottura della stabilità temporale, attraverso l’alternarsi di quelle che si potrebbero definire accelerazioni e rallentamenti. Una sorta anche di smarrimento del senso che si potenzia in un plurisenso diverso da quello che tradizionalmente abita la poesia per la sua vocazione all’ossimoro, ma che deriva piuttosto da un accumulo e da una giustapposizione, spesso venata di ironia,come rileva nel suo saggio introduttivo John Taylor, poeta a sua volta, traduttore e critico. Questi poeti tendono a costruire un mondo in cui niente assomiglia alla realtà, ma che si pone come una costruzione secondo coordinate a sé stanti, a loro modo perfettamente coerenti. Nota John Taylor come qui si tratti, di contro al “minimalismo”, di una sorta di “maximalismo” che, invece che cogliere modesti dettagli della vita di tutti i giorni, si appella alla storia, al mito, alla scienza e alla filosofia, e cita il titolo di una poesia di Gino Rago, “Noi siamo qui per Ecuba” come l’affermazione apodittica di una volontà di andare oltre – o contro – un’ispirazione strettamente autobiografica, o anche puramente “realistica”.Volontà di cui Taylor trova conferma in alcuni versi di Donatella Costantina Giancaspero: “ Ma nulla di ciò che siamo/ si mostra in superficie.” Tali versi per Taylor mostrano un orientamento ben diverso da quello che si focalizza su un presente quotidiano, ovvero su una “superficie” facilmente leggibile. Si tratta infatti, nel caso della Giancaspero, di raggiungere una zona che non è nemmeno quella dell’inconscio, ma quella di un essere/nulla di profondità abissale. Così come la “vita di tutti i giorni” della sorprendente Roma antica di Linguaglossa non è un riportarci nel passato ma un fare emergere un “passato presente”, una sfasatura di piani. Ma che cos’è, appunto, il passato adombrato dal titolo? Qualcosa insieme di presente e di dimenticato, affondato nel nulla, perché, Taylor cita la Zagaroli, “il passato non insegna nulla”. Egli rileva che questo tema riappare in altri poeti antologizzati conducendo a una stessa conclusione: nemmeno il passato ci può aiutare a capire ciò che sta accadendo nel presente. Perciò forse l’intera antologia, ipotizza, potrebbe venir coronata dalla massima di Giorgio Santayana: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”, a patto però di farla seguire da numerosi punti di domanda. Oppure ricordare, ma come? Ce lo dice Alfredo De Palchi in una bella poesia del 2009: “Potessi rivivere l’esperienza/ dell’inferno terrestre entro/ la fisicità della ‘materia oscura’ che frana/ in un buco di vuoto/per ritrovarsi ‘energia oscura’ in un altro/universo di un altro vuoto”.
Un saluto e un ringraziamento a Donatella Bisutti per questo articolo particolareggiato ed esauriente della antologia da me curata per Chelsea Editions della poesia italiana contemporanea. Il lavoro di selezione degli autori e dei testi risale a circa quattro anni fa… poi il lavoro di traduzione si è prolungato per più di tre anni e l’antologia ha visto la luce adesso, ma si sa che i tempi della poesia sono lunghi necessariamente.
Ringrazio vivamente Donatella Bisutti per l’accensione, dotta e iper-pertinente sulla antologia italo-americana, How The Trojan War… nella quale figura anche il mio nome fra gli antologizzati. Graditissima peraltro una sua lettura di una delle pagine più intense di tutta la storia de L’Ombra delle Parole oggi allestita da Giorgio Linguaglossa su un mio lavoro recente,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/12/06/gino-rago-lindebolimento-della-coscienza-storica-letta-attraverso-lesperienza-poetica-di-vittorio-sereni-poesie-e-prose-mondadori-editore-commenti-di-alfonso-berardinelli-g/comment-page-1/#comment-60652
con gratitudine e stima,
Gino Rago
La mia maniera di dire “grazie” a Donatella Bisutti per la sua dotta e icastica segnalazione dell’antologia italo-americana per Chelsea Editions di NY, saluta in certi ambienti poetici come un’autentica novità nel suo genere.
Giorgio Linguaglossa (a cura di) AA.VV, How the Trojan War Ended I Don’t Remember (An Anthology of Italian Poets in the Twenty-First Century) Chelsea Editions, New York, 2019, pag. 342, 20 $ Prefazione di John Taylor
Negli Stati Uniti è uscita la prima ed unica «Antologia della poesia italiana contemporanea» di quel paese. Curata da Giorgio Linguaglossa, tradotta da Steven Grieco Rathgeb e con prefazione di John Taylor, per i tipi e le cure di Chelsea Editions di New York, 330 pagine complessive, l’Antologia How the Trojan War Ended I Don’t Remember, nel titolo ricalca la omonima Antologia uscita in Italia nel 2017 per le Edizioni Progetto Cultura di Roma, Come è finita la guerra di Troia non ricordo, con la prefazione di Giorgio Linguaglossa. I poeti presenti in How the Trojan War Ended I Don’t Remember si dispiegano lungo un arco generazionale di circa cinquant’anni, dal 1926, anno di nascita di Alfredo de Palchi (il primo libro è del 1967, Sessioni con l’analista) passando per Anna Ventura, il cui primo libro Brillanti di bottiglia è del 1978, fino alla più giovane, Chiara Catapano. I poeti antologizzati, Alfredo de Palchi, Chiara Catapano, Mario M. Gabriele, Donatella Giancaspero, Steven Grieco Rathgeb, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa, Renato Minore, Gino Rago, Antonio Sagredo, Giuseppe Talìa, Lucio Mayoor Tosi, Anna Ventura, Antonella Zagaroli, si muovono per lingua, lessico e scelte tonali nello spazio espressivo integrale nel ripudio diffuso dell’Io narcisistico del diario quotidiano. Qualche autore/autrice poi si volge al metodo mitico e ai miti. Guarda a ciò che negli ultimi trent’anni nei cinque continenti e in centinaia di lingue, con stili e obiettivi assai diversi, si sta verificando nel mondo reale attraverso le tragedie archetipiche di Sofocle, di Eschilo, e soprattutto di Euripide: il mondo dei miti è diventato uno dei prismi culturali ed estetici in cui questo mondo conflittuale e dis-funzionale ha tentato e cerca di vedere riflessa la propria immagine. A tale proposito scrive John Taylor nella Prefazione: «Certo, alcuni modernisti del ventesimo secolo hanno sviluppato una analoga Poetica, che fa rivivere o riutilizza il passato nel presente…i poeti qui antologizzati spesso spingono l’ironia molto più lontano…». Da un autore all’altro, da un’autrice all’altra, anche se ci sono sfumature per storie personali e temperamenti poetici differenti, si ritrovano un comune sentimento, quello di una sorta di «spavento del destino e della storia», che però non ha prodotto la «paralisi della poesia pensante», e un analogo pensiero, quello di un «nuovo paradigma in corso d’opera». I 14 poeti scelti e antologizzati dal curatore Linguaglossa si pongono come figure significative del Grande Gelo della parola raffreddata e ibernata e della stagnazione estetica e morale dei nostri anni. Con le parole di Tzvetan Todorov, «si continua a credere che l’uomo merita di rimanere lo scopo dell’uomo». Di certo possiamo dire che questa Antologia va verso nuovi paradigmi di ontologia poetica ed estetica, effetto diretto di quel passaggio che da L’opera aperta di Umberto Eco (1962) a Midnight’s children (1981) e Versetti satanici di Salman Rushdie (1988), ha suggellato la conclusione del Post-moderno. Il favoloso, il fantastico, il mitico, il reale diventano un tutt’uno, coincidono con lo spazio della scrittura nella quale non ci sono più separazioni ma fluidità. Il nuovo romanzo prende tutto da tutto. Così come con la poesia di Tomas Tranströmer finisce l’epoca di una poesia lineare (lessematica e fonetica) ed inizia una poesia che integra il fattore Tempo (da intendere nel senso delle moderne teorie matematiche topologiche secondo le quali il quadrato e il cerchio sono perfettamente compatibili e scambiabili) con il fattore Spazio. Scrive John Taylor:«Il titolo dà il tono a questa vivace antologia. I versi dei quattordici poeti inclusi in Come la guerra di Troia è finita, non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2017) evoca l’eredità greco-romana in vari modi, attraverso il reale, il leggendario e le mitiche figure che vanno da Ulisse ad Apollo, da Medea ed Ecuba a [poeta romano di età augustea] Gaio Cornelio Gallo. Certo, alcuni modernisti del ventesimo secolo hanno sviluppato una analoga Poetica, che fa rivivere o reimpiegare il passato nel presente. Tecniche sviluppate da T. S. Eliot in The Waste land e The Love Song di J. Alfred Prufrock vengono in mente quando si esaminano i campioni di alcuni dei poeti compresi qui. Detto questo, i poeti qui antologizzati spesso spingono l’ironia molto più lontano di quanto non abbiano fatto Eliot, Kavafis, o altri antenati modernisti[…]» Estrapolo dalla Prefazione di John Taylor alcuni rapidi passaggi su quattro voci poetiche antologizzate su cui Taylor scrive:«[…] Letizia Leone, la cui lunga poesia è stata tratta dal suo libro La calamità di base si concentra su Marsia il Satiro, forgiando il satirico con la mescolanza di immagini che raccontano le apparenze del passato e del presente[…]; Anna Ventura, ad esempio, evoca Trimalchio, la tartaruga etrusca di Volterra”, Torquemada, e infine Barbablu, di cui presenta se stessa come la “terza moglie, quella / che ha osato prendere la chiave / e spalancare la porta dell’orrore “.[…] Raggruppando le sue poesie sotto il titolo Dovrei tornare a Caesar’s Court?, Giorgio Linguaglossa (che ha messo insieme questa antologia) sfida implicitamente i poeti contemporanei a rispondere alla stessa domanda. Si hanno pochi problemi a percepire che ci si rivolge in particolare ai poeti orientati verso i particolari modesti della vita quotidiana in sé o verso le loro vicissitudini, le proprie esistenze attuali, anziché verso quelle storiche, mitiche, scientifiche, e sfondi filosofici rovistati dalla maggior parte dei poeti in questa antologia. Tale, ovviamente, è solo una delle linee di battaglia che possono essere tracciate tra poeti contemporanei in Italia o altrove. Le differenze radicali che possono esistere tra i tipi di soggetti considerati, sono visibili anche nella poesia di Gino Rago: titolo generale per i suoi pezzi interconnessi “We are Here for Hecuba” sicuramente suggerisce l’intenzione di aprire una prospettiva più ampia di quella delimitata nel bene e nel male da un’ispirazione strettamente autobiografica o da un oggettivismo del genere “niente idee ma dentro le cose”[…]».
Gino Rago